La seconda lezione d’aggiornamento riguardava l’omelia, la predica, per intenderci. Ha tenuto la lezione un monaco della comunità benedettina di Camaldoli, un monaco giovane e molto preparato.
Non ha detto niente di speciale però alcuni punti mi sono piaciuti in particolare quando ha detto:
1) “Alla predica cerchiamo sempre di dire “NOI” e non “IO” per evitare di creare disagio in chi ascolta ma anche per restare consapevoli che i primi che devono ascoltare – e anche con grande attenzione – la Parola di Dio siamo proprio noi sacerdoti”;
2) “Evitiamo la forma imperativa (es. FATE) e scegliamo la forma indicativa (es. FACCIAMO)”;
3) Quando prepariamo la predica: “chiudiamoci nella STANZA del nostro cuore” e interroghiamoci ma lungo in modo da non chiedere agli altri quello che noi non riusciamo a fare”.
C’è che ha gradito – come il sottoscritto – questi richiami e chi invece non li ha graditi per niente imputando al monaco-relatore una scarsa conoscenza della realtà e delle dinamiche parrocchiali: infatti dobbiamo celebrare più volte, con conseguenti cambiamenti di registro, a seconda che si parli ai piccoli, ai grandi, agli anziani, alla Messa delle 7.00, a quella delle 11.30 ecc.
Subito dopo ho fatto un salto alla facoltà di Chimica farmaceutica per assistere alla tesi di Laurea di Maria, la figlia di Salvatore. Mi aveva espressamente invitato e quindi non ho voluto deluderla anche se la presenza mi è costata un certo sacrificio.
La discussione è andata benissimo con un bel 110 e lode. Complimenti!