Corona virus 54

Si comincia a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel. Al momento non ho ricevuto alcuna comunicazione ufficiale se non per la celebrazione dei funerali ma leggo sui giornali che dovrebbe esserci a breve una comunicazione con l’autorizzazione a celebrare la Messa in chiesa e all’aperto seppure con un numero ridotto di fedeli. Io riguardo alla prescrizioni canoniche e civili sono scrupoloso e non me la sento di azzardare in nessun modo. È chiaro però che la speranza per un futuro finalmente “libero” dalle catene della epidemia c’è.

Al riguardo ho letto un intervento del filosofo Galimberti che, se non ho letto male, spiega che il concetto della speranza in un futuro migliore  è tipico della religione cristiana e ha influenzato tutto il pensiero occidentale pure quello laico. In realtà, scrive il filosofo, il futuro sarà uguale al presente.

Anche se non sono un filosofo di mestiere mi sembra una affermazione errata e soprattutto ingenerosa nei confronti di chi, animato dalla speranza, ha studiato-lottato-pregato per un futuro migliore.

Errata perché la speranza, a mio sommesso parere, non è frutto della religione ma è insita nel DNA degli uomini. E infatti, cosa questa facilmente sperimentabile perché appartiene a tutti gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, credenti e atei. Mi spingo fino a dire che “si vive” di speranza fino all’ultimo giorno di vita!

Ma poi è una affermazione ingenerosa, come dicevo, nei confronti di chi ha speso e spende la propria vita per dare sicurezza, sviluppo e pace all’umanità. Forse che l’antico ricercatore che, animato dalla speranza, ha lavorato per risolvere il dramma della tubercolosi ha sprecato il suo tempo? Non ha visto risultati positivi? Li ha visti e come!  Dunque il “futuro”, pensato e cercato dalla speranza, è stato un tempo migliore rispetto a quello “passato”.

Possiamo permetterci quindi di sperare in un tempo migliore di quello attuale e senz’altro lo sarà. Domani, a Dio piacendo, vorrei tornare sull’argomento.

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