Articolo tratto da “I Quaderni della Propositura”- n. agosto 2023.
di Mons. Piero Malvaldi.
La Fondazione Casa Cardinale Maffi di San Pietro in Palazzi (Cècina) è il fiore all’occhiello della Diocesi di Pisa. Non a caso Papa Giovanni Paolo II, il 22 Settembre 1989, iniziò la sua visita pastorale alla Diocesi da questa località e da questa struttura. Nell’occasione ebbe parole di forte apprezzamento per l’istituzione, di ringraziamento per l’Arcivescovo Alessandro Plotti e per tutti i presenti e di fraterno amore per gli ospiti.
Ma le parole più belle le riservò a Mons. Pietro Parducci, all’epoca parroco di San Pietro in Palazzi e Presidente della Fondazione.
“Un attestato di riconoscenza devo riservare a Mons. Pietro Parducci, che di questa casa fu, tanti anni or sono, il fondatore. Sviluppando un’iniziativa generosa dell’indimenticabile Cardinale Pietro Maffi, egli ampliò l’iniziale asilo infantile, attrezzandolo anche come casa di accoglienza per le molte persone anziane o inabili che la guerra aveva privato di ogni assistenza. Con l’aiuto di Dio e di tanti cuori generosi, l’opera ha prosperato e, in questi quasi cinquant’anni di attività ha offerto ospitalità e conforto a circa ottomila persone”.
In queste parole del Papa compaiono i due personaggi eccezionali, Maffi e Parducci, che furono la mente e il braccio per fondare la parrocchia di San Pietro in Palazzi e risolvere il disagio materiale e spirituale di quella popolazione.
Quella zona, detta maremma pisana, interamente paludosa e quindi infestata dalla malaria, pur appartenendo alla Diocesi di Pisa non aveva, visti i disagi, una presenza di clero pisano così che i pochi residenti, per le necessità spirituali si appoggiavano al clero “volterrano” di Cècina.
ll marchese fiorentino Carlo Ginori (1702 – 1757), più conosciuto per la famosa manifattura delle porcellane, ebbe l’idea e il merito di iniziare la bonifica di quelle terre che pian piano richiamarono contadini e artigiani da tutta la Toscana.
La cura pastorale venne successivamente affidata – ma siamo ormai alla fine del 1852 – alla parrocchia “pisana” di Collemezzano che sorgeva a monte della pianura, con conseguente edificazione di piccola cappella anche ai “palazzi”, aperta al culto.
La svolta ci fu con la nomina di Mons. Pietro Maffi ad Arcivescovo Metropolita, poi Cardinale, di Pisa. Il Maffi, fermatosi casualmente ai “palazzi di Collemezzano” (così dicono i documenti d’archivio alla data 1905) nell’occasione di un suo viaggio a Roma lungo l’Aurelia, si rese conto dei tanti problemi dei residenti e studiò una soluzione. Da uomo molto pratico qual era acquistò un casa per farne un punto d’appoggio per la futura parrocchia ma a causa difastidiosi contrattempi l’operazione non dette immediatamente i frutti sperati. Fu necessario attendere ancora un ventennio per vedere l’inizio dei lavori (16 Ottobre 1927 su progetto dell’Ing. Giulio Fascetti) e la realizzazione della chiesa con la canonica e l’asilo per i piccoli. Il cardinale intanto era deceduto per cui l’opera venne portata a compimento dal suo segretario Mons. Giuseppe Calandra e consacrata nel 1933 dal nuovo Arcivescovo, Mons. Gabriele Vettori.
All’epoca Pietro Parducci (1912 – 1997) era studente nel seminario di Lucca. Per motivi a me sconosciuti passò al Seminario di Pisa e il giorno 11 Luglio 1937, nella chiesa carmelitana di San Torpè, venne ordinato sacerdote da Mons. Vettori.
Parducci pur essendo di famiglia modesta, da buon lucchese era fornito di cultura e capacità di fare per cui dopo appena un anno di servizio al Duomo di Pietrasanta, il 31 Agosto 1938 venne scelto per guidare la parrocchia dei “palazzi” divenuta nel frattempo San Pietro in Palazzi.
Da subito affiancò all’asilo dei piccoli una “Casa della carità” che poi divenne “Casa-famiglia” per i profughi/esuli di guerra e dopo ancora “Casa d’accoglienza” per disabili fisici, psichici e anziani. E, in ultimo “Ente Morale” riconosciuto dallo Stato.
Nel periodo postbellico non lesinò impegno e aiuto per tutto il territorio circostante tanto che dal 1944 al 1957 fu pure presidente dell’Ospedale civile di Cecina. Intanto la “Casa” cresceva per numero di assistiti e di personale con soddisfazione di tutti. Non mancavano i problemi e nemmeno le gelosie ma Mons.Parducci aveva molti amici fra i politici di allora. In più conosceva bene il Diritto ecclesiastico e civile che gli permise di “salvare” la propria creatura in più occasioni come quando nel 1972 si pose sotto “l’ombrello” dello Stato ampliando l’offerta di servizi sociosanitari oltre che in Toscana anche in Liguria e perfino in Lombardia.
Non si contano le onorificenze ecclesiastiche e civili ricevute nel corso della vita. Morì il 30 Novembre 1997 nella propria canonica, a San Pietro in Palazzi ma la “Fondazione Casa Card. Maffi” continua a vivere con lo stesso spirito del suo fondatore.
Adesso però, mettendo da parte i dati biografici di questo personaggio eccezionale, vorrei scrivere qualcosa della mia esperienza nella Casa.
Conobbi Mons. Parducci nell’occasione di un ritiro spirituale promosso dal Rettore del Seminario, don Paoletti, per noi teologi e quindi ormai prossimi agli Ordini sacri. Monsignore all’epoca era molto chiacchierato: viaggiava in Mercedes, talare d’alta sartoria, consigliere d’amministrazione in banca, whisky per gli amici, battute pesanti per i nemici, plateali gesti di protesta anche in cronaca nazionale ecc.
Senza ricorrere a troppi giri di parole smontò le chiacchiere: viaggiava in Mercedes perché ogni giovedì della settimana doveva correre a Roma (600 Km. fra andata e ritorno); teneva una talare sempre in ordine perché facendo parte della commissione vaticana “Pro Ecclesia et Pontifice” non poteva presentarsi al Papa con una veste rattoppata; era consigliere di Banca solo per poter accendere mutui con maggiore facilità; offriva il Whisky di marca ai benefattori della Casa; insultava soltanto chi lo provocava; compiva gesti plateali di protesta (in una occasione accompagnò un pullman intero di degenti alla Prefettura) quando gli ritardavano i contributi per gli ospiti ecc. Inutile dire che con quell’intervento poco “spirituale” si conquistò immediatamente la nostra simpatia.
Di lì a poco, sempre dietro invito del Rettore, venni incaricato di tenere una conferenza spirituale sul Natale agli ospiti della Casa.
Monsignore mi accolse con simpatia che poi mutò addirittura in deferenza non appena scoprì che ero nipote del professor Varese Malvaldi, direttore sanitario dell’ospedale di Livorno e ispettore di tutte le strutture sanitarie della provincia (quindi anche della Casa…).
La conferenza andò bene tanto che rientrai alla sera in Seminario con una bella bottiglia di… Chivas e ventimila lire per la benzina che girai al Rettore visto che io non bevevo superalcolici e l’auto apparteneva al Seminario.
Negli anni del mio servizio pastorale a Pontedera e anche successivamente quando ormai ero Parroco a San Casciano di Càscina non avevo più avuto modo di incontrarlo personalmente pur frequentando una struttura per giovani diversamente abili a Collesalvetti che gravitava già allora nell’orbita della Casa Card. Maffi.
Ho dei ricordi davvero struggenti di quel periodo. Durante l’anno scolastico ero solito accompagnare i miei studenti al Colle (ovviamente in orario extrascolastico) per incontrare “i ragazzi” e lo stesso facevo con i giovani della parrocchia nell’estate. Mi accoglieva Francesco Nacci e insieme, “ragazzi” e studenti, facevamo esperienza di fraternità dialogando – se possibile –, svolgendo semplici mansioni sotto la guida del personale oppure passeggiando mano nella mano nel cortile antistante la sede.
Se nel viaggio di andata giovanotti e ragazze erano chiassosi ed esuberanti al limite dello sguaiato, in quello di ritorno erano silenziosi, quasi depressi. Era allora che io intervenivo: poche parole per spiegare il senso della carità cristiana e il dovere della solidarietà nei confronti degli ammalati. Presentavo pure l’esperienza dei volontari a Lourdes con l’UNITALSI e l’ORDINE DI MALTA e così tutti gli anni c’erano tanti giovani che partecipavano al pellegrinaggio con il treno “bianco” dei barellati.
Tornando a Mons. Parducci ebbi modo di incontrarlo un’ultima volta a metà degli anni ‘80 se non vado errato ma fu un incontro molto triste.
L’Istituto Arcivescovile Santa Caterina, dove allora insegnavo, stava attraversando un momento difficile dal punto di vista finanziario e rischiava la chiusura. C’era bisogno di qualche idea nuova e anche di sovvenzioni… per andare avanti.
Ebbi l’incarico dall’Arcivescovo Matteucci di studiare un piano di rientro per le spese e al contempo di individuare possibili oblatori. Pensai subito a Mons. Parducci e mi presentai “col cappello in mano”, come si suol dire in questi casi.
Purtroppo non era in giornata: a suo dire la Casa stava incontrando difficoltà d’ogni tipo: esterne, per sviluppi inattesi della normativa regionale che minacciava la sopravvivenza stessa della Casa e interne per episodi di errata amministrazione a lui imputabili. Per tutti questi motivi, nonostante fosse il “fondatore”, era stato messo in discussione e questo clima di sfiducia gli pesava moltissimo.
La crisi rientrò ma di lì a poco formalizzò le sue dimissioni non sentendosi più all’altezza di guidare la sua “creatura” pur mantenendo un posto di rispetto fino all’ultimo giorno di vita.
Subentrò così un nuovo Presidente, di sua fiducia, e un nuovo Consiglio.
La Casa divenne “Fondazione Casa Cardinale Maffi” fino ad avere ben otto strutture dislocate fra Toscana e Liguria nelle province di Pisa, Livorno, Massa Carrara e La Spezia e circa mille persone tra ospiti e personale.
C’è da dire, e concludo, che il paese di San Pietro in Palazzi non lo ha dimenticato. In primavera, andando in “loco” per scattare foto e raccogliere testimonianze mi sono imbattuto in un “murale” che descrive bene la sua filosofia: “Tutti insieme ce la possiamo fare”, con una vignetta che lo raffigura in tonaca, breviario e cappello intento a spronare i suoi collaboratori: “Forza ragazzi, diamoci da fare” e sotto una firma: “Gli amici di don Pietro”.