Il Vangelo è verità, urge nuovo vigore nella predicazione

di SILVIA CECCHI – articolo tratto da “I Quaderni della Propositura”, numero di Dicembre 2022. 

Nel corso dell’estate abbiamo intervistato padre Alberto Simoni, frate di lunga esperienza dell’Ordine dei Predicatori, attualmente in servizio nel convento di San Domenico di Fiesole.

– La nascita dell’Ordine dei Predicatori risale al Medioevo, qual è l’attualità del carisma domenicano a tanti secoli di distanza dalla sua fondazione?

San Domenico era inserito nella struttura gerarchica della Chiesa e l’Ordine è canonico, cioè costituito da sacerdoti (sono inoltre presenti i conversi, fratelli cooperatori): il nostro fondatore era un chierico che ha superato il clericalismo, orientando il ministero sacerdotale alla testimonianza evangelica.

Ha osservato la realtà del suo tempo e ha compreso quali erano le necessità della popolazione di allora. Ha ritenuto urgente portare la Parola di Dio fra le genti che non conoscevano la fede così come fra coloro che si erano allontanati dalla Verità.

Il compito primario era dunque la testimonianza del Vangelo, praticata attraverso uno stile di vita religiosa che rispecchiasse in modo più radicale l’esempio di Gesù e degli apostoli. Il ruolo dottrinale che l’Ordine ha assunto fin dalle origini è ordinato alla finalità apostolica e alla predicazione del Vangelo. Tutto questo risponde alle esigenze della società contemporanea, non meno problematica rispetto a quando l’Ordine è nato.

– San Domenico è stato contemporaneo di san Francesco. Sia l’Ordine dei Predicatori che quello dei Frati Minori hanno ritenuto essenziale raggiungere la popolazione nei luoghi dove questa si concentrava; entrambi hanno scelto uno stile mendicante e promosso un ritorno alla semplicità evangelica delle origini. Ci può aiutare a distinguere le differenze fra i due Ordini?

Si può dire che quanto Francesco rappresenta sul piano laicale, contemporaneamente Domenico lo realizza a livello canonico o clericale, essendo egli, a differenza di Francesco, sacerdote.

San Francesco ha avuto una conversione personale, che è divenuta poi comunitaria. Nel suo pensiero originario i Frati Minori non erano destinati a diventare chierici né studiosi, anche se nel corso del tempo questo è avvenuto. Il santo di Assisi è una figura certamente più popolare e affascinante di san Domenico.

San Domenico viveva già una vita comunitaria nella cattedrale di Osma e non sentiva nessuna necessità di creare una nuova istituzione, come del resto era per altre ragioni per san Francesco. Arrivò a questa determinazione quasi costretto dagli eventi, in risposta alle complesse situazioni storiche e ai problemi umani che gli si presentavano, in piena partecipazione. Si è sganciato da una struttura stabile ed è passato alla vita itinerante, promuovendo un impegno di testimonianza più diretta.

– I domenicani sono famosi per la loro preparazione culturale e per l’impegno nello studio.

L’impegno comunitario, lo studio e l’azione apostolica sono i cardini su cui si struttura la vita religiosa dei domenicani. Nel corso della storia possiamo analizzare quale di questi aspetti ha prevalso. La finalità dell’Ordine comunque è la predicazione. Per questa ragione lo studio è essenziale. Bisogna però fare attenzione al rischio di ripiegamento sullo studio medesimo. Quando emerge solo questo aspetto si tratta di falsificazione. Il grande lavoro della “Summa Theologiae” è ordinato per preparare i domenicani a rispondere alle eresie, a riportare alla sana dottrina e alla fedeltà al Vangelo. Il carisma dei domenicani è predicare il Vangelo in quanto Verità.

– A questo proposito oggi assistiamo a un diffuso distacco dalla fede e dalle tradizioni cristiane. Come si sente di commentare quanto accade?

Il Vangelo è verità, ma è poco avvertito come tale. Oggi è proposto come sistema di vita, di spirito, di solidarietà, di azione per la pace. La missione dottrinale dovrebbe porre l’accento sulla verità della fede, come verità dell’uomo. Personalmente avverto molto l’urgenza di riproporlo in quanto Parola di Dio, fatta carne in Gesù, resa concreta.

La fede per san Tommaso è una luce d’intelligenza, luce di Dio, che si concilia con l’intelligenza umana. La fede è irriducibile alla razionalità, però è conciliabile con la razionalità. Il mondo della razionalità e della fede dovrebbero dialogare in modo effettivo, invece si ignorano vicendevolmente.

Sento molto attuale la figura di san Domenico perché ha avuto la forza di tentare nuove strade per portare alle persone la Verità. È un compito faticoso perché richiede un importante impegno mentale, un impegno a capire l’andamento delle circostanze e a cogliere i problemi che sfuggono. È necessario essere più capaci di vivere in questo mondo e di dialogare con gli altri.

In occasione di una conferenza rivolta ai liceali di Borgo San Lorenzo, nella ricorrenza dell’ottavo centenario della morte del santo, lei ha presentato la figura del fondatore dell’Ordine mettendo in luce la novità della sua opera. Ci può ricordare alcuni passaggi?

Si può dire che la figura di Domenico ha uno strano destino: non presenta fatti eclatanti per essere conosciuta come avviene invece per altri santi; solo avvicinandolo egli rivela la sua straordinaria grandezza ed esercita il suo fascino.

La nuova struttura di comunità alla quale dà vita, a differenza dei monasteri, è a carattere orizzontale sulla base della fraternità, da dove deriva il nome di “frati”, e quindi nel segno della partecipazione e della corresponsabilità. Il “convento” è il luogo dove si va e si viene da itineranti e da mendicanti, quasi come cellula o nucleo di Chiesa in espansione, come lascia intendere il n.3 del libro delle Costituzioni, in cui si dice: “I frati… edifichino prima nel proprio convento la Chiesa di Dio, che poi con la loro opera devono diffondere in tutto il mondo”.

Se uno andasse a vedere lo stemma tradizionale dell’Ordine vi vedrebbe campeggiare la parola “Veritas”, che non è unanimismo, ma arte e ricerca di convergenze!

– I conventi domenicani (da subito nascono anche i monasteri femminili) sono definiti luoghi di predicazione e di studio. Può offrirci alcuni dettagli?

Sull’impianto comunitario proprio della Chiesa san Domenico struttura una forma aperta di comunità, fatta per rispondere alla finalità primaria della predicazione in ordine alla salvezza per la fede. Il convento diventa per lui “casa di predicazione”: non un luogo separato di preparazione o di sospensione, ma un ambiente per parlare con Dio e di Dio.

Il convento, pur nella sua materialità, è un luogo simbolico del modo di stare al mondo in solidarietà, in comunicazione, in interazione, tutt’altro che un luogo di conformismo e omologazione. Almeno questo ha voluto e insegnato Domenico ai suoi frati, per cui non si è domenicani per occupazione di spazi o ruoli ufficiali, ma nell’assumersi responsabilità personali di annuncio del Vangelo al di fuori dei canali standard. Il luogo spirituale in cui ritrovarsi in fraternità è tutto il mondo, fino agli estremi confini della terra.

– E lo studio?

Se per il monastero valeva la regola “ora et labora”, per Domenico scompare il “lavoro”, che sarebbe vincolante e alternativo all’impegno di predicazione, mentre per il sostentamento ci si affida alla mendicità.

Unitamente a quello della preghiera, l’impegno rilevante dei frati diventa lo studio come contemplazione, approfondimento della Parola di Dio e intelligenza della fede. Per questo ogni convento è in quanto tale una “scuola di teologia”: un luogo di confronto, di dialogo, di comunicazione e di comunione, di osmosi spirituale e culturale. Se non è abitato da questa passione condivisa, il convento rischia di diventare un guscio vuoto, che si riempie magari di storia, di arte, di memorie, di pietismo gratificante, ma non sarà mai quell’avamposto nella battaglia per la fede alla quale Domenico chiama i suoi seguaci.

Non ci sarebbe bisogno anche oggi di una predicazione del Vangelo meno clericale e più evangelica? Una predicazione meno scontata e prevedibile, più libera e più credibile, rivolta alla gente comune prima che ai sazi di parole religiose?

Cosa pensa a questo proposito dell’indirizzo promosso da papa Francesco a livello generale e della recente iniziativa sinodale?

Ho avvertito molta gioia per la sua ispirazione di rinnovamento nella Chiesa. Sono rimasto però perplesso circa l’attuazione. “Evangelii gaudium” (n.b. la prima esortazione apostolica di papa Francesco, promulgata il 24 novembre 2013) è un testo molto interessante, con indicazioni pratiche e allo stesso tempo ricco appunto di ispirazione. Personalmente avrei insistito su quei temi. Nel corso del tempo invece è stato lasciato un po’ da parte ed è stato posto l’accento più su temi sociali e umanitari, ma il cristianesimo non è soltanto questo. Essere cristiano non significa sovrapporsi all’essere uomo o donna, ma significa potenziarlo.

Per quanto riguarda l’iniziativa sinodale ho il dubbio che finisca per essere un’operazione di maquillage, di facciata. Il cambiamento deve avvenire all’interno dell’eucarestia stessa, altrimenti diventa un fatto periferico e marginale. L’intento costruttivo dovrebbe comportare anche una maturazione interiore e di mentalità.

Lei torna spesso sui temi della partecipazione, della corresponsabilità e del dialogo. Quale le sembra a questo proposito la situazione nella Chiesa?

Oggi prevalgono le tensioni e si assiste a un ritorno al formalismo. Si sono formati gruppi chiusi, di carattere ecumenico, biblico, liturgico, spirituale. L’appartenenza a queste istituzioni ha il sopravvento e determina un frazionamento.

Bisognerebbe tenere al centro la coscienza primaria di battezzati e cristiani, mantenendo una visione d’insieme. Occorre avere il coraggio di mettersi in discussione. Personalmente non mi spavento nelle contraddizioni, ma vanno chiarite e superate, trovando una sintesi tra le diverse tendenze.

Cosa ritiene più impellente in questo contesto e in considerazione dell’estesa disaffezione rispetto al tema della fede?

È urgente far riecheggiare il Vangelo come verità. Bisognerebbe comprendere il modo di pensare e di essere dell’uomo di oggi per renderlo cosciente del primato della fede. Questo elemento invece è stato accantonato rispetto a cambiamenti esteriori, anche nella liturgia. San Domenico è uscito dal clericalismo e ha portato la Chiesa su un piano di lotta evangelica. Occorre ritrovare dei luoghi e dei canali per diffondere il messaggio di Cristo morto e risorto, operante in mezzo a noi.

È necessario ripartire da questa consapevolezza e proclamare le meraviglie di Dio, il suo spirito, la sua presenza reale in mezzo a noi. La parola di Dio ci dice qualcosa perché è di Dio o non ci comunica più niente perché siamo condizionati dall’abitudine?

L’omelia durante la Messa è rimasta l’unica forma di predicazione, a differenza di quanto avveniva in passato. È mancanza di forza della fede se non riesce a comunicarsi. Chi ha il compito di predicare dovrebbe interrogarsi sulla propria capacità di comunicare e condividere la fede.

– La sua esperienza come frate domenicano è lunga e non è stata priva di ostacoli. Ha sperimentato i cambiamenti introdotti dal Concilio Vaticano II, il conseguente slancio di rinnovamento come pure le contraddizioni. È stato in servizio nei conventi di Santa Maria Novella, Sesto Fiorentino, San Marco, Pistoia, oggi in San Domenico di Fiesole. Come ha vissuto la sua vocazione?

Ho avvertito la responsabilità e il compito di farmi interprete delle esigenze del nostro tempo, appunto non meno problematico di quando l’Ordine è nato. Quando si parla di carisma e di spiritualità è quanto di più creativo, innovativo e libero ci possa essere, perché è verità: è spirito di giovinezza e non ripiegamento di vecchiaia.

Nel 1976 ho promosso un foglio di collegamento fra varie realtà dal titolo “Koinonia”, divenuto un periodico mensile grazie alla collaborazione di tanti amici (è disponibile anche su Internet all’indirizzo: www.koinonia-online.it).

Il nome indica la relazione fraterna degli uomini tra di loro. La pubblicazione spazia nell’ambito di temi di carattere culturale, liturgico, evangelico. L’intento è creare un ponte fra diverse posizioni, dare la possibilità di ragionare, riflettere su se stessi e renderci consapevoli di cosa portiamo dentro.

Attorno a “Koinonia” nel ‘96 si è costituita l’associazione omonima che intende essere di servizio a questa comunione e solidarietà di vita.

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