Cari giovani vi ho presentato due interessanti letture dell’antico testamento. Oggi vi presento una pagina di San Paolo che potrebbe benissimo essere presentata come seconda lettura nella vostra Messa di matrimonio. Ve la presento subito insieme a un commento che spero vi aiuterà a riflettere.
Dalla prima lettera di San Paolo ai cristiani di Corinto
Fratelli, la carità è paziente e benigna; non è invidiosa, non si vanta, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
È possibile volersi bene, amarsi profondamente per tutta la vita, inclusi gli anni dell’anzianità e della malattia? Certamente se uno vive queste brevi indicazioni di san Paolo riuscirà senz’altro ad avere una ottima vita matrimoniale sia da giovane che da anziano.
Leggo sul giornale proprio oggi un’intervista rilasciata dal prof. Pietro Ichino, il noto giuslavorista, amico di Forte dei Marmi che frequenta da sempre. Non lo conosco se non di fama ma questa sua testimonianza mi ha commosso.
Sua moglie Costanza negli ultimi anni della sua vita aveva contratto una malattia invalidante che le aveva distrutto il fisico ma non la mente.
Dice dunque il professore che proprio questi ultimi anni sono stati i più ricchi d’amore. “Mi ero impegnato a essere per Costanza le gambe che aveva perduto, gli occhi che non funzionavano più e anche le braccia e le mani. Questo ha creato tra me e lei dopo 45 anni di matrimonio pur molto ricchi e intensi un’intimità che non avevamo mai vissuto” (…) “Davanti a una malattia come questa potrebbe apparire quasi un insulto alla sofferenza sostenere che può esserci dentro del bene. Invece a me è accaduto di trovare anche qui quel bene nascosto. (…) Ogni volta che Costanza mi chiedeva di spostarsi dal letto alla carrozzella era un abbraccio stretto e qualche volta ci fermavamo a metà strada abbracciati così, indugiando a dondolarci come in un ballo cheek to cheek (guancia a guancia). (…) Ma l’intimità maggiore era quella delle sveglie notturne per una delle tante necessità. Accadeva che non ci riaddormentassimo ma restassimo a lungo abbracciati parlando sottovoce di ciò che ci stava più a cuore”.