Braccio operativo della parrocchia, la San Vincenzo di Forte dei Marmi porta avanti una tradizione di solidarietà interna al paese, offrendo una risposta adeguata alle necessità del nostro tempo.
Il gruppo, coordinato dal parroco, si adopera in particolare per offrire conforto ad anziani soli o in difficoltà.
Il servizio però ha bisogno di nuove forze: consorelle e confratelli rivolgono un appello affinché l’associazione possa contare anche in futuro su parrocchiani che abbiano cura dei propri concittadini.
“Riempie la vita, se le persone provassero, se ne accorgerebbero”
La San Vincenzo parrocchiale di Forte dei Marmi, tramite la voce di una rappresentanza di dame, invita donne e uomini di buona volontà a partecipare all’opera di carità coordinata dal parroco, don Piero Malvaldi, per offrire qualche momento di conforto ad anziani soli o in difficoltà.
“Offrire anche un’ora appena di compagnia alla settimana, porta gioia non solo nel cuore di chi riceve la visita, ma ancor più in quello di chi dona un poco del proprio tempo”.
L’associazione porta avanti una tradizione di solidarietà interna al paese, che risale agli anni successivi al periodo di guerra. Il servizio si è rinnovato nei decenni, cercando di rispondere di volta in volta alle mutate esigenze della popolazione.
Si trattadi una forma di sostegno essenziale perché rappresenta il “braccio operativo” del parrocchia e del parroco nei confronti della comunità che gli è affidata. “La nostra San Vincenzo tocca con mano i reali problemi delle persone, spesso gravate, oltre che da solitudine, anche da difficoltà di salute o di carattere economico”, spiegano l’attuale presidente, Giovanna Massai, e le consorelle Maria Grazia Giardini e Lida Dazzi, entrambe già alla guida dell’associazione.
Durante il nostro incontro le consorelle insistono tanto su un punto: “Lei deve capire che il paese ha bisogno di persone che si prendano cura dei propri concittadini con semplici gesti di carità. Deve capire che noi cominciamo ad essere anziane e non possiamo più essere all’altezza del servizio. Deve capire che bisogna che altri volontari rinnovino le nostre forze”. Anche se le rassicuriamo sul fatto che abbiamo compreso il concetto, continuano a sollecitarci sull’argomento perché appaiono realmente preoccupate dalla mancanza di nuovi volontari e temono che la San Vincenzo in futuro non sia in grado di offrire il proprio aiuto ai compaesani.
Il gruppo si presenta come una famiglia e con lo stesso spirito si relaziona con le persone che segue. Mantienela vocazione del suo fondatore, il presbitero francese san Vincenzo de’ Paoli, vissuto tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento, considerato tra i più importanti riformatori della carità della Chiesa cattolica. Il santo metteva al centro delle sue opere il sollievo di problemi spirituali e materiali di ceti della popolazione in stato depresso e in situazioni di sofferenza di vario genere (malati, poveri, bimbi abbandonati, anziani soli, detenuti).
Nelle note congregazioni delle Dame e delle Figlie della Carità apriva una nuova strade alle donne consacrate, che voleva a servizio dei bisognosi in ospedali, ospizi, carceri, asili, scuole, case private. Proprio la visita domiciliare ha rappresentato uno dei nuovi metodi di assistenza introdotti dal fondatore, lo stesso su cui si basa l’attività di volontariato della San Vincenzo di Forte dei Marmi.
La preghiera del vincenziano è un programma di carità, come è evidente già nelle prime righe:
“Signore, fammi buon amico di tutti, fa’ che la mia persona ispiri fiducia: a chi soffre e si lamenta, a chi cerca luce lontano da Te, a chi vorrebbe ricominciare ma non sa come, a chi vorrebbe confidarsi ma non se ne sente capace”.
Il gruppo fortemarmino conta anche su un vincenziano, PietroAndreoni, che è di fondamentale importanza per l’associazione. Può, infatti, dedicarsi in adeguato modo agli uomini, che vengono messi a proprio agio dalla sua presenza. Per questo è tanto importante pure il contributo maschile. Le attenzioni e le delicatezze non sono solo una prerogativa femminile e il rapporto di confidenza che si può stabilire tra simili è fondamentale per il benessere delle persone.
Le dame e il loro confratello si ritrovano tutti i giovedì alle 15 in chiesa in S.Ermete. Dopo un momento di preghiera partono a piedi o in bicicletta e si recano a coppia a visitare le persone che li attendono. Il giovedì non è stato scelto a caso, ma proprio perché le badanti, cui sono affidati diversi anziani, sono generalmente libere in quel giorno. “Prima le famiglie erano più unite – spiegano Lida, Maria Grazia e Giovanna – e gli anziani venivano seguiti nell’ambito del proprio nucleo familiare. Oggi il nostro servizio ha lo scopo di offrire loro un po’ di compagnia e di ascolto, permettendo di ricordare fatti del paese e della loro storia personale, che è ricca di memorie”.
Nel corso dell’opera di carità capita di riscontrare anche problemi ulteriori, che in alcuni casi interessano nuclei familiari, cui la San Vincenzo cerca per quanto possibile di andare incontro per aiutare a superare le difficoltà del momento.
Di regola le dame si alternano nelle visite per far conoscere a tutti i vari volti che animano il gruppo. Il problema, come si può immaginare, è che le esigenze superano le forze:i volontarisono una quindicina e assistono una sessantina di anziani, oltre a circa dodici famiglie.
“Alcune personesi avvicinano alla nostra associazione, ma poi ci dicono che non se la sentono, temono di disturbare e di non essere capaci. Invece non c’è bisogno di fare grandi cose. Basta offrire un po’ di conforto. Non lasciamo mai da soli i nuovi volontari, ma li affianchiamo sempre. Se poi qualcuno non gradisce la nostra visita, non ci andiamo più, non intendiamo imporci”, spiegano le dame.
“In generale siamo sempre ben accolte. I nostri anziani ci chiedono di tornare presto e se per qualche tempo non ci vedono ci fanno delle parti!”. Passa necessariamente del tempo, infatti,prima che si rechino da tutti, essendoil numero degli assistiti di molto superiore a quello dei volontari.
“Con noi si sentono in famiglia, – raccontano le consorelle – addirittura ci lasciano la chiave per entrare. Siamo molto appagate da questo servizio”.
“Io quando torno a casa– dice Lida Dazzi – mi sento più leggera, sono più vivace e se qualcosa è rimasto indietro a causa del tempo speso per le nostre opere, acquista ancora più valore”.
Le dame si adoperano più che possono per far conoscere l’associazione e per ricavare offerte indispensabili per la sua missione. Promuovono mercatini, offrono biscotti fatti da loro stesse così come accessori ricamati o altri prodotti elaborati a mano.
“Molte di noi – spiega Maria Grazia Giardini – sono cresciute in un clima vincenziano, dove le famiglie si aiutavano l’un l’altra. Personalmente sono stata sostenuta da mio marito e mia suocera nel trovare il tempo per dedicarmi al prossimo”.
La presidente, Giovanna Massai, pur avendo un’attività da portare avanti non rinuncia alla missione caritativa: “Bisogna adoperarsi per il bene e darsi da fare. Quando smetto di lavorare, a casa non ci sto”.
I nominativi delle persone da assistere vengono concordati con il parroco. Don Piero, specialmente nel corso del lungo periodo dedicato alla benedizione delle case, entra in contatto con tutti gli abitanti e prende nota di ogni esigenza da segnalare alle dame e al confratello. Una volta al mese, poi, si ritrovanoper fare il punto sulla situazione e per eventuali novità.
Le riunioni sono sempre animate. Il gruppo è vivace eci mette il massimo dell’energia. Le dame, sorridendo, ci riferiscono che il parroco ogni tanto le richiama al silenzio, mentre loro sono costrette ad aguzzare l’udito, perché mentre parla il suo tono si fa sempre più flebile. “Ognuna di noi ha il suo carattere, – dicono le consorelle – ma ci troviamo sempre d’accordo. Ci vogliamo bene e tra noi c’è una comunione sincera di intenti e di servizio. Don Piero è una guida spirituale delicata e affettuosa per noi e per l’intero paese”.
Proprio nell’unità si sostanzia il comandamento ultimo di Gesù“Perché tutti siano una cosa sola”(Gv17, 21), “Io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità” (Gv 17, 23).
Farsi uno con gli altri consiste nell’arte di amare secondo Chiara Lubich nel libro “L’unità e Gesù abbandonato”. Un’arte definita a volte faticosa, ma sempre vitale e feconda. La fondatrice del movimento del Focolare, che ha come carisma proprio la comunione col prossimo, spiega che “l’unità si realizza servendo il fratello”, sentendo in noi i suoi sentimenti e aiutandolo a risolvere le sue preoccupazionicome cosa nostra.“Se fra due persone si stabilisce questo modo di amare, questa maniera di compenetrarsi, ecco realizzarsi l’unità che porta Cristo in mezzo a noi”.
Dicembre 2015