La lezione d’aggiornamento per gli insegnanti di catechismo e per i componenti il consiglio pastorale vicariale è stata affidata a monsignor Severino Dianich, già professore ordinario di ecclesiologia alla facoltà teologica di Firenze.
Il titolo, decisamente accattivante, è stato: “Guardare al futuro per annunciare la fede con gioia”. Qui di seguito il testo (traccia) della lezione offerta ai presenti.
Premessa
Siamo in un tempo di grandi incertezze con la sensazione di un profondo smarrimento: la situazione politica del mondo, la tragedia delle guerre e delle povertà, gli sconvolgimenti prodotti dagli imponenti movimenti migratori.
In questa specie di mare in tempesta non è che la Chiesa sia, né potrebbe mai esserlo, un’isola di tranquillità.
Ci si interroga allora, e non senza preoccupazione e timori, sul futuro del mondo, della Chiesa stessa, e della sorte della fede cristiana nei nuovi orizzonti che confusamente si stanno profilando.
DI MONS. SEVERINO DIANICH
1. Annunciare con gioia
Annunciare la fede è lo scopo per cui la Chiesa esiste ed è la tensione interiore di ogni cristiano serio. Usiamo questo termine solenne, annunciare, pensando ad un evento pubblico, di grande risonanza, come nel giorno della Pentecoste a Gerusalemme. Ma è necessario tradurlo nella sua forma semplice, che dica qualcosa alla portata di ciascuno di noi: comunicare la Fede.
Questo che per natura sua è il nucleo portante della missione della Chiesa, paradossalmente è rimasto in ombra nel passato, perché abbiamo sempre supposto sia avvenuto in famiglia: oggi il catechista constata che invece questo non è avvenuto.
Ma quando vengono al catechismo bambini che non hanno avuto in famiglia nessun momento di evangelizzazione, invece di deplorare il fatto che la famiglia non comunica la fede ai bambini, dovremmo gioire se la famigilia li manda perchè possiamo noi evangelizzare.
La tradizionale richiesta dei sacramenti dei figli da parte di genitori del tutto lontani dalla pratica di Chiesa e a volte anche dalla fede, costituisce un problema da prendere sul serio, ma la persistenza di questo costume, nonostante la sua interiore incongruenza, è grazia di Dio e motivo di gioia, perchè c’è stata data la possibilità di comunicare la Fede.
Particolarmente interessante è la richiesta di sacramenti di adulti, come avviene per il matrimonio. Salvo casi estremi, che possono presentarsi come inaccettabili, la richiesta di giovani, anche non praticanti, di sposarsi in Chiesa, è grande grazia per loro, e anche per noi che avremo la gioia di poter comunicare la fede.
Questo però significa inventare nuove forme della nostra attività pastorale.
EG 25 sostiene che la comunicazione della fede a chi non l’ha ricevuta in maniera adeguata debba avere il primato su tutto. Per cui “Ora non ci serve una semplice amministrazione. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno stato permanente di missione”. Francesco si domanda, EG 15 :”Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole?”
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Scrutare i segni dei tempi
Viviamo, dice papa Francesco, non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca, e ne sentiamo il peso cercando di indovinare il futuro.
Tempo di crisi era anche quello di Gesù : Mt 16,1-4 “I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal Cielo. Ma egli rispose loro: ”Quando si fa sera voi dite: ”Sarà bel tempo perché il cielo rosseggia” e al mattino: ”Oggi è burrasca perché il cielo è rosso cupo”. Sapete quindi interpretare i segni del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?” Nell’interpretare i segni dei tempi i suoi contemporanei avrebbero dovuto riconoscere la sua presenza in mezzo a a loro.
Noi dobbiamo riconoscere la presenza dello Spirito Santo che ci anima e ci conduce in mezzo al cammino incerto del nostro tempo: grazie allo Spirito che ha ispirato la Sacra Scrittura possiamo “ricordare tutto ciò che egli ci ha detto“ e interpretare “i segni dei tempi”.
Così possiamo osare di dare forme diverse in tempi diversi alla missione della Chiesa, perché la nostra Chiesa possa essere un segno della sua operosa presenza nel mondo di oggi.
In Europa la secolarizzazione della cultura e la laicizzazione dell’ordinamento sociale, con l’instaurazione del sistema liberal-democratico lungo gli ultimi due secoli, è un lungo processo che sta giungendo al suo definitivo ed irreversibile compimento.
Ma la straordinaria possibilità di convivere tra uomini e gruppi sociali di etnie, culture e religioni diverse, garantita solo dal sistema democratico nel quale tutti hanno gli stessi diritti, e non la chiesa cattolica più di qualcun’altro, ancora sembra mettere a disagio vasti strati della coscienza cattolica: vedasi, per esempio, come l’eventuale diritto di un vescovo di visitare una scuola pubblica non è superiore a quello di un rabbino o di un imam.
È che oggi più che nel passato la fine definitiva della societas christiana comporta per la Chiesa la perdita del ruolo di suprema, anzi unica, istanza di legittimazione morale del costume e della legislazione civile.
Questo fenomeno socio-politico di grande dimensione di distanza fra il costume diffuso e la morale cattolica, fu già testimoniato nel 1974 dal referndum sul divorzio e con quel 68% di italiani che nel 1981 hanno rifiutato di abrogare la legge sulla liberalizzazione dell’aborto.
Il fenomeno è particolarmente vistoso nella concezione della prassi della famiglia. Guardando al futuro bisogna prevedere che la diminuzione numerica delle famiglie fondate sul sacramento del matrimonio porterà con sé la diminuzione del battesimo dei bambini ed un progressivo logoramento della millenaria tradizione della trasmissione generazionale della fede.
Tramontano i modelli di vita ecclesiale degli ultimi quindici secoli e ritornano quelli dei primi cinque.
La svolta può essere sentita dai credenti come drammatica, eppure se c’è stata un’epoca meravigliosa per la diffusione del Vangelo è stata proprio quella dei primi cinque secoli.
Stiamo entrando nell’epoca di una chiesa che tende ad evangelizzare non tanto mandando i missionari in paesi lontani, ma dovunque si possano incontrare persone che non condividono o neppure conoscono la nostra fede.
Saremo all’altezza dei segni dei tempi?
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Il soggetto responsabile nell’evangelizzazione
La via per attribuire all’evangelizzazione il suo primato non sarà la creazione (salvo opportunità particolari) di iniziative specifiche, ma l’acquisizione della coscienza di tutti i fedeli di esserne i primi e fondamentali responsabili:
EG 120 “Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa ed il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni.”
Se tutti sono in grado di farlo LG 35 notava che “l’evangelizzazione dei laici acquista una certa nota specifica e una particolare efficacia dal fatto che viene compiuta nelle comuni condizioni del secolo”.
Anche la stessa catechesi, oggi in massima parte affidata ai laici, non può supporre l’evangelizzazione avvenuta.
Il luogo della catechesi è la parrocchia, mentre il luogo dell’evangelizzazione è fuori dalla parrocchia, a casa, nel vicinato, nei luoghi di lavoro e del tempo libero, nelle istanze sociali e politiche.
Il ritorno all’impegno della evangelizzazione, quindi, dovrà propiziare un salto di qualità nella stessa impostazione della vita parrocchiale, che ha bisogno di passare dalla cura della sua vita interna, alla comunità dei credenti praticanti, ad una ipostazione estroversa di tutte le sue iniziative da destinare sempre in ultima analisi non ai credenti ma ai non-credenti, non ai fedelissimi ma ai lontani.
Papa Francesco è consapevole che tutto questo comporti cambiamenti non facili da attuare: EG 27 “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio ed ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espressiva ed aperta”.
4. Come comunicare la fede?
È più facile dire come non si riesce a comunicarla, che suggerire le vie positive da percorrere, perché queste devono essere commisurate al soggetto, al destinatario ed alle situazioni.
Una prima indicazione di carattere negativo è sulla necessità di superare il vecchio atteggiamento apologetico (e polemico): EG 14 “La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione” (Ratzinger).
Un altro atteggiamento inadeguato è il moralismo: se la precettistica morale va avanti alla fede, EG 39 “l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro maggior pericolo. Poiché allora non sarà propriamente il Vangelo ciò che si annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche”.
Se invece si insegue: EG35 “uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario, la proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa”.
Più ancora che l’impostazione dei contenuti di un discorso esplicito sulla fede, alla fine però contano gli atteggiamenti del credente a colloquio con il non credente: EG 10 “un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale…Possa il mondo del nostro tempo che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti ed ansiosi, ma da ministri del Vangelo..che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo”.
EG 83 “non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!”
Non un atteggiamento che sia superficiale, ma che viene dal profondo della fede: EG 264 “La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo la sua bellezza ci stupisce e torna ogni volta ad affascinarci”. Perciò è urgente recuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri.
5. Conclusione
La prospettiva può e deve essere considerata positivamente, in quanto un cristianesimo che rimpiange una società che non c’è più e magari sogna illusoriamente di ricostruirla, è assolutamente incapace di futuro.
La possibilità di comunicare la fede esige una Chiesa umile, libera dalla pretesa di contare nella società , capace di ritrovare la sua originaria freschezza.
Guardando al futuro dell’Europa Marcel Gauchet ritiene che nel nostro tempo “si sta aprendo una nuova era per le religioni, e in particolare per il cristianesimo in Europa: prima esse erano strettamente dipendenti dal loro ruolo nel meccanismo collettivo, ora si stanno liberando da questo vincolo. E’ l’occasione per una vera e propria reinvenzione che probabilmente ha ancora da riservare delle sorprese. Non siamo che all’inizio, ai primi passi di questo movimento.”