Catechesi per nubendi 1

Cari giovani, l’epidemia ha stravolto i nostri piani: tutti i CORSI IN PREPARAZIONE al Matrimonio -alcuni già avviati- sono stati chiusi. Anch’io, che preferisco seguire personalmente le singole coppie, ho interrotto i colloqui. Al momento la maggior parte di coloro che avevano fissato il matrimonio lo hanno disdetto. Restano alcune coppie alle quali offro questo modesto contributo come CORSO di preparazione. Ci sta che quanto scriverò possa essere d’aiuto anche a chi è già sposato o a chi convive come pure a chi è solo ma aperto all’amore.

Prima di passare alla lezione perché ho scritto nubendi e non fidanzati? Perché la maggior parte di coloro che si presentano per sposarsi sono già conviventi e spesso con figli. Quindi dire “fidanzati” sarebbe improprio, ma anche “conviventi” sarebbe molto riduttivo perché soprattutto quando ci sono figli ormai c’è vera famiglia. Per questo motivo ho scelto “nubendi”.

Dunque, cari giovani, iniziando il corso per prima cosa verificate il vostro rapporto con il Signore. Quando vi presentate la prima cosa che il prete vi chiede riguarda proprio questo aspetto e le risposte sono (quasi) sempre le stesse.   Al prete che, serioso, vi chiede se siete “credenti” voi assentite immediatamente, addirittura con foga, quasi la domanda fosse provocatoria: “Certo che siamo credenti altrimenti non saremmo qui per prepararci al matrimonio”.

Ma quando poi lo stesso prete, stavolta ridacchiando sotto i baffi, vi chiede se frequentate la chiesa il discorso cambia. Le risposte dei giovani, molto imbarazzate, variano da: “Ci vengo per Pasqua e per Natale” a “Sono venuto al funerale della nonna Anselma” a “Sono sincero, non vi vengo mai”. Molte ragazze invece, aggiungendo un sospiro, rispondono: “Ho insegnato perfino il catechismo ma poi mi sono allontanata” oppure “Ci verrei volentieri ma non ho più tempo”.

Risulta quindi evidente che emanca l’anello di congiungimento fra il credere  e  il praticare. Allora proviamo a spiegare quale potrebbe essere la soluzione.

C’è da fare però una premessa importante. Si dà il caso infatti che, come abbiamo una conformazione personale fisica e psicologica per cui non esistono due persone uguali (al massimo simili), così abbiamo anche una conformazione spirituale derivante dall’educazione catechistica ricevuta, dall’esempio dei genitori, dal carattere ecc. Questo fa sì che ognuno si pone in rapporto con il Signore nel modo più proprio e più congeniale. Può darsi quindi che, sia chi frequenta sempre sia chi non frequenta mai, abbiamo ugualmente uno stretto rapporto d’amore con il Signore.

Detto questo veniamo alla soluzione di cui dicevo in precedenza. Un conto è credere in Dio e un conto è amarlo. Come scrive San Giacomo: “Anche i diavoli ci credono in Dio e lo temono (sottinteso… ma non lo amano)”. Quando si parla di vita cristiana, prima della conoscenza e della stessa virtù (l’essere persone buone) ci sta l’AMORE.

Questo perché il Signore è una PERSONA. E una persona si conosce veramente soltanto quando si ama. Il Signore non è una chiesa (per quanto bella) o un libro. Una pietra o un libro non hanno bisogno d’essere amati per essere conosciuti. Il Signore invece essendo una persona prima di tutto deve essere amato e più si ama più si conosce!

Ora, quando io vado in chiesa ci vado per AMORE. Non ci vado per il prete o per farmi vedere chissà da chi. Io ci vado per Lui:  io Lo guardo e Lui mi guarda; Lui si offre (nella Comunione) e io lo accolgo; Io mi “sfogo” e Lui mi ascolta; Lui è felice d’avermi visto e io sono felice d’averLo reso felice.