Nella nota di ieri segnalavo il problema dell’assenza dei giovani alle funzioni religiose. Purtroppo è vero. Siamo quasi tutti “passatelli” come si suol dire per evitare altri termini più pesanti.
L’anzianità è una realtà davvere strana: ce ne rendiamo conto soltanto quando ne facciamo l’esperienza. Non è possibile conoscere l’anzianità da giovani e nemmeno da uomini/donne maturi/e.
Si dice che è una malattia. Ma non è così. Perché dalle malattie si può guarire e quindi resta un’esperienza utile per le malattie successive proprio per la (quasi) certezza di poterne uscire. Con l’anzianità no!
Fosse possibile alternare due/tre volte nella vita l’anzianità con la giovinezza senza alcun dubbio potremmo affrontare meglio l’anzianità “definitiva”. E invece, niente da fare. Quando ci rendiamo conto d’essere anziani ormai siamo… in trappola ed è tempo di bilanci e di … decisioni conseguenti.
Giorni indietro anzi notti indietro, tardando ad addormentarmi, riflettevo su questo curioso argomento un po’ filosofico e un po’ fisiologico. Oggi stesso ho conosciuto un gentile signore, anziano, che ha confermato questa mia ipotesi.
Il signore in questione ha esordito in questo modo:
“Sono ormai anziano, ho riflettuto sulle varie vicende della mia vita famigliare e professionale e ho capito che è venuto il tempo di pensare alla mia anima”. Detto questo mi ha consegnato una somma accompagnandola con un documento/contratto attestante la sua volontà di essere “suffragato” per un numero “tot” di anni dal momento della sua morte.
Sono rimasto ammirato ma non sorpreso. Ho già in archivio infatti due documenti simili ancora “attivi” mentre cinque/sei sono gà stati “onorati”. Di questi, uno in particolare mi è rimasto nel cuore per quanto aveva chiosato in calce: ” …. tanto so già che i miei non ci penseranno”.
Capito?