Fra i miei interlocutori c’è anche un giovane concittadino recluso in carcere. Non può leggere le mie note quotidiane e tantomeno visionare i filmati ma è sempre molto informato circa le vicende della nostra parrocchia e della nostra città.
Per rispetto alla privacy non posso citare il motivo della detenzione e tantomeno il nome ma posso però riportare qualche frase della sua ultima lettera… angosciosa e angosciante!
L’epidemia ha colpito duro anche nel carcere non solo quanto all’aspetto saanitario ma anche per certi contraccolpi che ne sono derivati.
“Nel momento in cui avevo rimediato un lavoretto, per mia sfortuna, è risalita l’epidemia e così, bluf, da un giorno all’altro il lavoro è stato sospeso e con il lavoro la possibilità di acquistare un po’ d’olio, di zucchero e di caffé”.
I detenuti, anche se privati della libertà, riescono a sapere qualcosa della situazione corrente: “Sono un po’ giù di morale. Non ci sono buone notizie né da fuori né da dentro, solo notizie brutte!”
E poi il dispiacere d’aver causato dei guai alla famiglia, agli amici e a tanti altri che, in risposta, hanno chiuso i rapporti.
“Ho provato a scrivere (…) ma nessuna risposta. Quando entri in carcere tutti si dimenticano di te, anche i parenti!”
Con tutto questo il paese e la famiglia restano nel cuore. Come pure la chiesa e le preghiere imparate al catechismo: “Prego tanto e tutte le sere anche se mi chiedo dove sia Dio, se esista davvero, se mi possa ascoltare.”
E poi la conclusione che tocca il cuore: “Scusi, don Piero, per il rinnovato disturbo e grazie ancora, spero stia bene. Con affetto, XYZ”.
Immagino che siate rimasti male a leggere quanto sopra. Anch’io. Non ci dimentichiamo di questi fratelli che sebbene abbiamo sbagliato restano sempre tali.