“Andate in tutto il mondo e annunciate il vangelo a ogni creatura”. Questo è il comando, esplicito, con il quale Gesù invita i suoi “discepoli” a farsi “apostoli” della “buona novella”, cioè del Vangelo.
E noi, consacrati e laici, ci proviamo impegnandoci al massimo delle nostre capacità e possibilità con lezioni vere e proprie di catechismo per piccoli, giovani e adulti e riflessioni specifiche nei momenti liturgici (celebrazione Eucaristica), para-liturgici (Rosario, Via Crucis, adorazione eucaristica) e comunitari (riunioni varie…).
Aggiungo che, nonostante le nostre fragilità personali e le difficoltà determinate dalla situazione del momento (epidemia strisciante) e dalla logistica (carenza di aule ecc.) questo impegno è offerto & accolto volentieri e, tutto sommato, anche con buoni risultati
Però non si va oltre.
Soprattutto noi sacerdoti (e suore) restiamo confinati nel recinto della chiesa (e del convento). Al massimo ci può capitare di scambiare una parola in certe particolari occasioni quali un pranzo in compagnia, un pellegrinaggio (c’è sempre qualche agnostico fra i pellegrini che partecipano), una riunione catechistica con i genitori dei ragazzi, una corrispondenza mail con qualche parente mangiapreti o con qualche giovane ex-alunno di catechismo diventato nel frattempo ateo.
L’annuncio del Vangelo ai lontani viene così delegato ai nostri laici che, per quanto mi risulta, si danno tanto da fare soprattutto all’interno della famiglia e della parentela e non solo con la testimonianza della vita e con la parola.
Ma ultimamente, e proprio in casa cattolica, questo annuncio è tacciato di “proselitismo”. Chiariamo allora cosa vuol dire evangelizzazione e cosa vuol dire proselitismo.
Domani… perché oggi ho già scritto anche troppo.