Nel giorno della memoria desidero ricordare i tanti sacerdoti che, nei tempi delle deportazioni, si impegnarono a favore degli Ebrei nascondendoli o escogitando soluzioni per evitare il loro arresto.
Non riporto i nomi di questi confratelli perché non avendoli conosciuti personalmente non vorrei confondere l’uno con l’altro ma, per quanto mi risulta, furono davvero molti.
Il motivo di questo impegno derivò oltre che da precise indicazioni dell’Arcivescovo del tempo anche e soprattutto dai rapporti cordiali che i parroci avevano con i loro parrocchiani.
Il parroco non sta a fare troppe distinzioni fra parrocchiani assidui alla chiesa o atei/miscredenti; fra Cristiani, Ebrei, Islamici, Testimoni di Geova, Induisti, Buddisti. Il parroco ha il dovere di sentirsi “pastore” di tutto il suo gregge pregando giornalmente per le persone a lui affidate.
E deve essere pronto, come insegna Gesù, perfino a dare la propria vita per loro. Questo il motivo di fondo di certi gesti eroici. Poi naturalmente c’erano anche altri motivi dati dalla frequentazione, dall’amicizia ecc.
Anche il mio predecessore, don Cesare Pasquali, fece la sua parte almeno stando a quello che ho scovato nell’archivio della Parrocchia. Negli anni tragici delle leggi razziali, don Pasquali “battezzò” un bel po’ di persone (senza però scriverlo sul Registro ma solo su fogli volanti avuti allo scopo dalla Curia) testimoniando con giuramento la loro fede cristiana anche se non era vero un bel niente.
In alcuni casi questo stratagemma non servì a niente perché erano ebrei troppo conosciuti (vedi quelli che abitavano le case torri e finirono nei campi di concentramento) ma in altri invece funzionò. Di questi, alcuni, passato il momento terribile -per riconoscenza-chiesero che venisse trascritto ufficialmente il nome sul Registro dei Battesimi.