“Credo che ognuno debba avere a cuore il bene comune e debba dare il proprio contributo per la giustizia”. Il giudice del Consiglio di Stato, Antonella Manzione, è stata una delle prime comandanti donne della polizia municipale in Italia e ha ricoperto incarichi di rilievo a livello nazionale. Molto legata alla famiglia e alle radici versiliesi, ha portato avanti una brillante carriera animata da una forte passione per la legalità e per il servizio pubblico.
di Silvia Cecchi
Grande tenacia e senso della legalità sono i tratti distintivi di Antonella Manzione, giudice del Consiglio di Stato. Dalla Versilia è arrivata a livelli sempre più alti, ricoprendo incarichi di responsabilità nella pubblica amministrazione in varie città fino ad assumere funzioni di prestigio a livello nazionale. Nonostante ciò è rimasta molto legata al suo territorio di origine, dove la figlia Carolina e il marito Pierluigi Tarabella rappresentano il suo punto di riferimento assoluto.
Dal 2010 è Cavaliere della Repubblica. Il riconoscimento, che porta la firma dei presidenti della Repubblica e del Consiglio allora in carica Napolitano e Berlusconi, le è stato attribuito in considerazione di particolari benemerenze. L’attestato è appeso a una parete vicina a un tavolo da studio in casa della dottoressa Manzione, dove sono esposte molte altre fotografie e riconoscimenti che hanno segnato momenti importanti del suo percorso professionale.
“La cosa più spiacevole che ho riscontrato è l’ignavia e l’incapacità di indignarsi davanti a ciò che non ci tocca”, dice. “Io non ho mai fatto un passo indietro di fronte all’illegalità, perché credo che ognuno debba dare il suo contributo per la giustizia sostanziale attraverso il proprio operato e secondo le proprie possibilità”. Nel suo caso è stata sostenuta da un temperamento forte, che le ha consentito di far fronte alle fragilità alle quali non è esente: “Sono una persona abituata a combattere per necessità, non per natura. È una regola di sopravvivenza”.
Nel 2011 ha ricevuto il premio selezione dei lettori “Scrittore Toscano dell’Anno”, a cura dell’associazione Fiera del libro toscano con la presidenza del consiglio regionale e con il comune di San Miniato, per il romanzo “Martina va alla guerra”, che tratta in modo narrativo il tema del mobbing. La dottoressa Manzione fa riferimento a quanto è riportato sul retro della copertina e cioè che il senso della giustizia è come il colore degli occhi, fa parte dell’essenza umana: “Se ci scoraggiamo in presenza delle ingiustizie terrene, non abbiamo più a cuore il bene comune”.
Proprio la passione per la giustizia e per la “cosa pubblica” l’ha portata a intraprendere la scalata professionale nella pubblica amministrazione, rinunciando di sua scelta ad altre possibilità che le si erano offerte: laureata in giurisprudenza col massimo dei voti all’università Pisa, aveva conseguito, infatti, l’abilitazione alla professione di avvocato e l’abilitazione all’insegnamento di materie giuridiche ed economiche nelle scuole superiori. In questo secondo caso le era stata assegnata una cattedra di ruolo, ma non ha mai insegnato perché in contemporanea aveva vinto il concorso per comandante di polizia municipale: “Preferivo lavorare nella pubblica amministrazione – ci spiega – perché si può con serietà essere al servizio del cittadino e sfatare dall’interno l’idea che tutti siano fannulloni”.
Così ad aprile del 1991 Antonella Manzione ha assunto la guida della polizia municipale di Seravezza, divenendo una delle prime comandanti donne in Italia. Nel corso di questo incarico si è distinta per aver coordinato l’attività di polizia giudiziaria sull’inquinamento del fiume Versilia, dove veniva sversato abusivamente fango refluo della lavorazione del marmo (marmettola). Elogiando la dedizione e l’impegno dell’intera squadra di vigili, ci racconta che lei e i suoi colleghi si calavano nel fiume anche di notte con gli stivaloni di gomma per individuare i condotti e risalire agli scarichi e alle fonti di inquinamento. Il comando ha ricevuto un encomio dalla Procura della repubblica competente per la migliore indagine di polizia giudiziaria del periodo e un riconoscimento dal comune di Seravezza.
Nel ’94 Manzione si è trasferita per mobilità al comune di Pietrasanta sempre come comandante e nel ’97 ha superato il concorso pubblico da dirigente indetto dallo stesso ente. Come tale, oltre alla guida della polizia municipale, le sono stati assegnati altri settori quali il commercio e lo sportello unico delle attività produttive, che si occupa anche di demanio marittimo e urbanistica commerciale. In collaborazione con l’allora assessore alla cultura Simoni la comandante Manzione è riuscita, inoltre, a risolvere i problemi di agibilità del teatro della Versiliana.
Nel 2003 è passata al comando della polizia municipale di Verona fino al 2005: “Ne ho un ricordo di pubblica amministrazione efficiente, all’avanguardia, con competenze di polizia giudiziaria di livello”. Con l’intento di riavvicinarsi a casa, nel 2005 ha affrontato e vinto il concorso pubblico per dirigente comandante del comune di Livorno. In seguito per mobilità si è trasferita alla guida della polizia municipale di Lucca dove era anche dirigente della mobilità urbana e della protezione civile.
“Credo che sia un mestiere che si deve fare per vocazione, non per ricerca di un impiego fine a se stesso e tantomeno per ripiego. È un lavoro che non si improvvisa, a pena di screditare tutta la categoria. Il vigile urbano è un po’ poliziotto e un po’ assistente sociale. Bisogna essere autorevoli e non autoritari. Occorre intelligenza nel portare l’uniforme, che rappresenta un punto di riferimento per il cittadino, e sono necessarie capacità di relazione e massima professionalità per gestire i conflitti”.
In termini di competenze il campo di azione della polizia municipale è molto vasto: ha un settore di polizia giudiziaria, si occupa di tutto il diritto amministrativo per l’ente locale, è responsabile della circolazione stradale in ambito urbano ed ha funzioni specifiche in materia di ambiente e commercio.
La dottoressa Manzione ha dimostrato di saper affrontare situazioni delicate e complesse, favorendo il lavoro di squadra e creando un clima di collaborazione, per cui è stata sempre molto apprezzata dai suoi agenti. Non era scontato, perché, essendo appunto una delle prime donne comandanti in Italia, all’inizio per lei non è stato facile. Specialmente i primi anni si è trovata a capo di squadre composte da soli uomini che avevano verso il loro superiore un atteggiamento di diffidenza totale. Le capacità e l’impegno di Antonella, però, le hanno conquistato il rispetto e la stima di tutti i corpi di polizia municipale che ha diretto, dei quali lei allo stesso tempo ricorda l’abnegazione e il senso del dovere. Con loro ha partecipato sul campo in operazioni impegnative; come loro guidava la moto di ordinanza e aveva padronanza dell’arma in dotazione. Con molti di questi colleghi si è creato un legame di amicizia che dura nel tempo.
Più volte, nei momenti di trasferimento in altra sede, ha ricevuto attestazioni di apprezzamento che sono finite anche in locandina, con il saluto e il ringraziamento della città per il lavoro svolto. Dalle espressioni riportate (sulla cronaca di Verona, per citare un esempio: “Antonella torna a casa. Grazie Antonella”) si capisce che si era creato un clima di confidenza e stima verso il comandante per il servizio reso alla comunità.
“Non sono femminista. Non credo che la differenza la faccia il linguaggio di genere. Credo nel merito, non nelle quote”, dice il giudice Manzione. “È vero che per le donne è più difficile emergere perché devono conciliare lavoro e famiglia. Il welfare è indietro (con l’eccezione di casi positivi, come la piccola realtà di Forte dei Marmi) e per questo lo svantaggio che le donne subiscono in parte è “strutturale”, ma al di là di ciò credo sia anche un fatto culturale, che riguarda le donne stesse. C’è un’idea diffusa che per essere una buona madre e moglie si debba sacrificare qualcosa. Manca anche un po’ di solidarietà femminile: è piuttosto raro che una donna gioisca per il successo di un’altra. Per questo ritengo che prima di tutto dovremmo lavorare su noi stesse, piuttosto che sulle quote. Certamente a tutti devono essere date le stesse possibilità”.
Nel 2009 l’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, l’ha contattata per offrirle il posto da vicecomandante vicario della polizia municipale del capoluogo toscano, sotto Massimo Ancillotti. Quando quest’ultimo si è trasferito a Roma, Manzione ha ricoperto l’incarico di comandante dal 2011 al 2014, più quello di dirigente dell’area commercio e attività produttive e di dirigente della protezione civile. L’ultimo anno è stata anche direttore generale del comune, che conta un totale di circa cinquemila dipendenti, di cui un migliaio vigili.
Durante il periodo fiorentino si ricorda in modo particolare l’attività di sgombero dell’ex ospedale Meyer, dalla quale è derivata la definizione di “metodo Manzione”. Questo intervento le è valso il fiorino d’argento della città di Firenze. “Ho gestito in prima persona l’operazione”, racconta. “C’era una situazione di degrado e sporcizia grave. Isolammo la zona, allestimmo stand della protezione civile e insieme al personale dei servizi sociali, coordinato dall’assessorato competente, facemmo un lavoro persona per persona, con colloqui con gli immigrati di tutte le etnie che avevano preso rifugio nella struttura per trovare delle soluzioni alternative dignitose, fino a risolvere il problema”.
Le chiediamo se prima di ricoprire questi incarichi a Firenze conoscesse personalmente il sindaco Renzi. Ci risponde di no e racconta che la chiamata la colse piuttosto di sorpresa, visto che la contattò per effettuare il colloquio di lavoro a palazzo Vecchio in piena estate.
Le competenze della comandante Manzione anche in questo caso non hanno tradito le aspettative, tanto che quando Renzi nel febbraio del 2014 si è trasferito a Roma per rivestire il ruolo di presidente del Consiglio, dopo pochi mesi le ha assegnato l’incarico fiduciario di capo del Dipartimento affari giuridici e legislativi (Dagl). Per la prima volta nella storia della Repubblica veniva nominato un dirigente di un ente territoriale a capo del Dagl, sotto il quale lavorano un centinaio di persone, mentre generalmente l’incarico era ricoperto da un consigliere di Stato. Questa particolarità, nonostante la presenza dei requisiti e la regolarità della nomina vistata dalla Corte dei Conti, ha dato origine a malumori che hanno trovato sbocco in alcuni casi sulla stampa.
La dottoressa Manzione ha ricoperto tale ruolo fino alla fine di gennaio di quest’anno, quando è divenuta operativa la sua nomina come consigliere di Stato. Il presidente del Consiglio Gentiloni aveva rinnovato il suo incarico a capo del Dagl, ma lei ha scelto di entrare nel Consiglio di Stato, dopo che l’iter del suo provvedimento di nomina, promosso da Renzi, si era concluso positivamente nel novembre 2016, con decorrenza dal febbraio 2017.
Ancora una volta, però, sono sorte delle polemiche, dunque chiediamo al giudice come si spiega questi contrasti: “Ritengo che siano da attribuire all’invidia per il tipo di ruoli che ho rivestito. Per competenza, costanza e caso mi sono trovata vicina al potere politico e sono arrivata a livelli alti, senza tessere di partito né altri agganci. Non ho la pretesa di essere simpatica a tutti e non sono diplomatica, perché ritengo che un buon dirigente debba dire la verità: un servo sciocco è la rovina del padrone. Tuttavia sono stata dipinta come non sono. È giusto dare un giudizio critico, ma veritiero, senza che venga strumentalizzato ciò che si dichiara. Normalmente mi astengo dal replicare e dal dare la mia verità, perché ritengo che non siano le parole ma i fatti a ricostruire il comportamento reale di una persona”.
Da questo è nata una certa diffidenza nei confronti dei media: “Io ho sempre creduto nella forza del dialogo e sono sempre stata rispettosa delle idee degli altri, pur mantenendo le mie convinzioni, ma ho riscontrato che spesso l’ipocrisia e l’invidia muovono le condotte, falsando la comunicazione. Dunque la diffidenza è necessaria”.
Nel corso del tempo la dottoressa Manzione ha svolto attività di docenza per enti locali, per scuole regionali di polizia locale, per l’università di Siena (giurisprudenza), Bologna (scienze politiche), Luiss di Roma (pubblico impiego) dove ha incarichi anche adesso. Vanta numerose pubblicazioni giuridiche, è intervenuta a convegni, ha avuto una borsa di studio del CNR finalizzata alla realizzazione di uno studio in materia di adozioni internazionali. È stata a lungo pm onorario per la procura di Lucca. Per diversi anni ha militato in “Libera”, l’associazione di don Ciotti contro le mafie.
Nel suo colloquio con noi è stata molto cordiale e si è resa disponibile a chiarirci tanti particolari sottili, ma determinanti alla base della sua carriera. Ci ha raccontato di essersi sostenuta gli studi universitari da giovane facendo tanti lavoretti: ha dato ripetizioni, ha fatto l’accompagnatrice turistica in tutta la lucchesia (previo corso di formazione specifico), la baby sitter, la maschera a teatro, ha collaborato con radio della zona.
Come ha fatto a fare tutto? “Ho studiato tanto, ho una forte resistenza psicofisica”, risponde. “Tengo un ritmo altissimo e ho una grande capacità di analisi giuridica. Evidentemente questo era il mio talento. Non ho trovato né aridi né mnemonici gli studi di giurisprudenza. Il diritto vive, il diritto e la giustizia stanno insieme”.
Antonella ha respirato quest’aria anche in famiglia, dove suo padre era ufficiale giudiziario e suo fratello uno dei più giovani magistrati dell’epoca. Nata nel 1963 in provincia di Avellino, dal 1972 ha vissuto in Versilia, avendo suo padre scelto di trasferirsi in Toscana per ragioni di lavoro e prospettive generali. Nel ’93 si è sposata con l’ingegnere Tarabella, originario di Seravezza, figlio di maestri elementari storici di Forte dei Marmi, dove la coppia vive da allora.
Suo marito è stato un compagno di vita esemplare: l’ha sostenuta nel suo lavoro e non le ha mai fatto mancare il suo aiuto morale e materiale. Anche se sua moglie ha dovuto spostarsi molto per esigenze professionali, lui è rimasto sempre in Versilia con la loro figlia, oggi diciannovenne, portando avanti il proprio impiego a Massa. È stato per la famiglia un punto di riferimento e un porto sicuro. “Sono stata fortunata ad avere accanto un uomo con una mente aperta e un’umanità straordinaria come la sua”, dice Manzione. “Mi auguro di essere stata comunque una buona moglie e una buona madre. Se mi avessero chiesto di rinunciare alla carriera, lo avrei fatto”.
Ci racconta alcuni episodi nei quali suo marito l’ha raggiunta con la figlia mentre lei era lontano da casa e di aver visto la sofferenza di Carolina nel momento del distacco: “Non sono esente da sensi di colpa, come tutte le donne. Ho cercato di fare del mio meglio e di esserle lo stesso vicina, perché lei è il senso della mia vita. Tuttavia sono consapevole che ha sofferto, motivo per cui ho rinunciato al desiderio di avere una famiglia numerosa. Sono molto orgogliosa di lei e sono contenta che abbia ripreso dal babbo invece che da me, visto che studia biotecnologia”.
Antonella è sempre stata molto religiosa e la fede, trasmessale in famiglia, l’ha aiutata anche nei momenti difficili. Da giovane frequentava la parrocchia dei Macelli, dove insegnava catechismo e cantava nel coro. Nel tempo si è necessariamente distaccata dalla militanza attiva, ma non dalla pratica personale e, da sempre, prima di andare in ufficio passa in chiesa per una preghiera. “Sono convinta che da lì viene la forza. Anche nei momenti più difficili, con grande umiltà, mi sono fatta forte dell’esempio di Cristo che è salito da solo sul monte con la croce”.