Un calciatore-maestro

Da Forte dei Marmi a Torino: Bruno Barberi, classe 1933, è stato scoperto mentre giocava in spiaggia a pallone ed ha iniziato la sua carriera nella Juventus. Dopo l’attività da calciatore professionista, ha svolto per lungo tempo il ruolo di allenatore di formazioni giovanili del territorio versiliese. Per i suoi allievi è stato un vero e proprio maestro di vita, come gli hanno scritto i suoi stessi ragazzi: “Certi che gli insegnamenti ricevuti lasceranno un’impronta indelebile nei nostri cuori”.

di Silvia Cecchi

Da Forte dei Marmi a Torino: Bruno Barberi, classe 1933, è stato scoperto mentre giocava in spiaggia a pallone ed ha iniziato la sua carriera nella Juventus. La famiglia Agnelli aveva casa al Forte: pienamente inseriti nel tessuto sociale fortemarmino non perdevano occasione, d’intesa con i loro collaboratori, per aiutare i giovani più promettenti del paese a emergere nei vari ambiti professionali incluso quello sportivo. Fra questi il giovane Bruno Barberi, scoperto da Rosetta e portato alla Juventus.

Dopo l’attività da calciatore professionista, ha svolto per lungo tempo il ruolo di allenatore di formazioni giovanili del territorio versiliese. Per i suoi allievi è stato un vero e proprio maestro di vita, come gli hanno scritto i suoi stessi ragazzi: “Certi che gli insegnamenti ricevuti lasceranno un’impronta indelebile nei nostri cuori”.

Bruno Barberi aveva quasi sedici anni quando stava giocando sulla spiaggia a pallone insieme ad altri amici e un dirigente della Juventus lo notò. Si trattava di Virginio Rosetta, uno degli uomini-simbolo della squadra bianconera. Aveva una casa al mare e proprio mentre era in Versilia si imbatté nella partita in corso sulla sabbia, rimanendo colpito dallo stile del giovane Bruno. Lo avvicinò e gli disse: “Vedo che giochi al pallone. Verresti a Torino?”. Barberi, che oggi ha ottantaquattro anni, ricorda che Rosetta si recò a chiedere il consenso a suo padre: “Ho visto che il ragazzo merita. Lo manderebbe alla Juve?”.

Era il 1949 e Forte dei Marmi usciva dalla guerra e dalla povertà. Bruno già dall’età di 14 anni lavorava con suo babbo, che faceva il muratore. Nel tempo rimanente giocava a calcio e militava nel Forte dei Marmi. La proposta di Rosetta rappresentava un bel cambiamento, ma anche un salto nel buio. Il padre di Bruno lo incoraggiò a provare e lo accompagnò a Torino. Il ragazzo si dimostrò all’altezza delle aspettative e anche della serietà che era richiesta. “Eravamo un gruppo di circa diciotto ragazzi – ricorda l’ex calciatore –. Io venivo dalla Toscana (altri due miei compagni Mazzucchi e Cherubini erano partiti inizialmente con me, ma poi fecero altre scelte), tre dal Veneto e gli altri dalla stessa area di Torino. Ci allenavamo quattro volte alla settimana allo stadio vecchio comunale. Eravamo ospitati da alcune famiglie. Per provare il nostro carattere i primi sei mesi la mattina, dalle 8 alle 14, ci facevano lavorare in una fonderia della Fiat a Settimo Torinese, che era di un dirigente della società calcistica. Non eravamo lasciati liberi: eravamo seguiti e impegnati. Ci affiancava un dirigente anziano, che ci faceva in pratica da tutore. Ci insegnavano norme di comportamento, ci portavano a teatro. Cercavano insomma di curare la nostra istruzione”.

La giovanile della Juventus (i ragazzi in questione erano delle classi del ’33 e del ’34) era composta da giocatori e futuri campioni tra i quali Giuseppe Vavassori, Umberto Colombo, Bruno Garzena, Flavio Emoli. Di quel gruppo, poi, sei hanno giocato anche in Nazionale.

La formazione, che si era distinta già nelle competizioni del suo settore, passò quindi in categoria A, dove erano ancora in carica titolari del calibro di Boniperti, Parola, Viola, Bertuccelli, Manente.

Bruno Barberi giocava nel ruolo di terzino e come i suoi compagni aveva grande talento. Nel 1952 gli venne assegnata una medaglia d’oro dalla società. Nonostante la posizione da difensore, infatti, nell’ambito del torneo Piemonte, dove si sfidavano squadre straniere, segnò sei goal giocando quattro partite in due giorni e divenendo capocannoniere della competizione. “Il vicepresidente della Juventus – ricorda Barberi – mi convocò a un ristorante per una cena a sorpresa. Mi trovai davanti diciotto dirigenti della società che mi consegnarono il riconoscimento”. La medaglia riporta lo stemma della Juve e l’incisione “A Bruno Barberi cuor d’oro, muscoli d’acciaio”. Il riconoscimento è molto caro all’ex calciatore che avvertì la stima e l’affetto dell’apparato per il suo operato e la sua persona.

Proprio per questa stima nei suoi confronti è sempre rimasto un tesserato professionista della Juve, che gli ha consentito di giocare in prestito in altre squadre. Barberi è rimasto, infatti, penalizzato da un infortunio al quadricipite destro, da cui la società sperava sempre che potesse riprendersi definitivamente. Il problema, invece, ha persistito, anche se il calciatore è riuscito ad andare avanti nella carriera grazie a una grande forza di volontà. È stato richiesto da altre formazioni e ha giocato nel Monza, nella Carrarese, nella Sanremese, nel Pordenone e in altre squadre. Durante il militare è stato mandato in Sardegna ed è stato convocato nel Cagliari. Ha giocato nella nazionale militare ed ha vinto il campionato europeo. Un’ulteriore medaglia d’oro del Ministero della difesa ricorda la vittoria conseguita nel 1956.

Allora la realtà del mondo del calcio era molto diversa da quella di oggi”, ricorda l’ex calciatore. “Giocare in serie A era considerato di per sé un prestigio. Quando fui cercato dal Monza, che militava in serie B, mi fu offerto un compenso più alto di quello che percepivo nella Juventus. La società bianconera sosteneva infatti che appartenere alla sua squadra fosse già un onore per gli atleti. Per me, però, era importante essere di aiuto alla mia famiglia. Mi è dispiaciuto rinunciare alla Juve, ma in questo modo ho potuto garantire ai miei familiari quella sicurezza economica di cui avevano bisogno”.

Nel ’65 ha cominciato la carriera da allenatore, che ha portato avanti fino al 2016, prima a Forte dei Marmi, poi a Pietrasanta e infine a Ripa.

Negli anni ’70 la Juventus lo voleva come allenatore dei giovani, ma Barberi ha preferito rimanere nella sua zona d’origine proprio per il legame con la famiglia. Le soddisfazioni non gli sono mancate: dei ragazzi che ha preparato nell’ambito delle tre formazioni, ventisette sono stati presi da squadre di serie A, sette hanno giocato come titolari e due in nazionale Under 21. I suoi allievi sono stati campioni toscani: per tre volte il Pietrasanta, due volte il Ripa e una volta il Forte dei Marmi.

Nonostante i successi e le soddisfazioni di cui ha fatto esperienza, Bruno Barberi tiene a ricordare sempre ai giovani che il calcio non è tutto nella vita: “I ragazzi prima di tutto devono pensare a mettersi a posto, devono studiare e assicurarsi un futuro. Io non insegnavo soltanto a giocare a pallone. Ho sempre stimolato i miei allievi ad avere un buon comportamento e a non trascurare la propria formazione culturale. Diventare un giocatore professionista deve essere considerata come un’opportunità in più”.

Barberi è molto fiero di tutti i suoi ex allievi. È orgoglioso di annoverare tra questi ingegneri, medici affermati, ragionieri e professionisti in genere, che quando lo incontrano gli manifestano ancora grande riconoscenza e stima.

Ho cercato di trasmettere la mia esperienza di vita. Ho dato loro tanti consigli, li ho invitati a essere umili, come sono sempre stato io. Da loro in campo pretendevo prima di tutto un buon comportamento: niente grida, niente parolacce, niente aggressività. Dopo veniva l’insegnamento tecnico. Si giocava a pallone, ma ci si divertiva. I ragazzi uscivano dal campo sereni”.

All’ex allenatore non piacciono certi atteggiamenti: “Oggi molti genitori e preparatori trattano i bimbi come se fossero adulti. Si può vincere, perdere, giocare bene o male, ma non bisogna aggredire un ragazzino. Non devono dire loro che sono grandi, perché sono piccoli. Devono accettare l’errore e preoccuparsi di insegnare con il ragionamento. Lo sport porta con sé dei valori importanti che sono costituiti prima di tutto dal rispetto dei compagni e degli avversari”.

Sua moglie Paola Nuti, insegnante di lettere in pensione, gli è sempre stata accanto: “Capisco la passione che ha avuto. È stato bravo e mi commuove vedere le dimostrazioni di affetto di tanti suoi ex ragazzi, molti dei quali oggi più che adulti. Certo non è tutto rose e fiori stare accanto a un calciatore. È stato assente per lunghi periodi. Bisogna avere intelligenza e rimanere con i piedi per terra. Mio marito è un puro: ha seminato bene e ha sempre cercato di dare soddisfazione agli altri”.

Bruno e Paola Barberi

Quanto detto è dimostrato anche dai ricordi che la coppia conserva con cura a casa. Accanto a coppe e medaglie, infatti, sui mobili spiccano omaggi che gli allievi del passato hanno donato nel tempo al loro allenatore, come la targa consegnatagli per i suoi ottant’anni in occasione di una festa organizzata per lui allo stadio di Querceta nel giugno del 2013: “Tu sei stato il nostro primo maestro, ci hai insegnato tutto: il valore dell’amicizia il coraggio, l’ambizione. Grazie Bruno, i tuoi ragazzi”.

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