Uno scienziato appassionato alla ricerca, curioso della vita, animato da ottimismo: il professor Antonio Lucacchini si è sempre speso con impegno e interesse negli studi e nella professione, volta fondamentalmente alla prevenzione dell’insorgenza di patologie gravi e quindi a un miglioramento delle condizioni della vita. Gli sono stati riconosciuti meriti e attribuiti importanti incarichi, ma non è stato risparmiato dalle difficoltà: “Tutti ci possiamo sforzare di avere un atteggiamento positivo, nell’evidenza che questo ci è d’aiuto”.
di Silvia Cecchi
Per riferirsi ad Antonio Lucacchini si può spaziare dal titolo di professore a quello di ricercatore, ricordando che è stato prorettore dell’ateneo di Pisa, preside della facoltà di Farmacia, direttore di dipartimenti di ricerca d’avanguardia e membro di numerosi istituti di settore. Prima di tutto, però, bisogna dire che si tratta di una persona curiosa e portata all’ottimismo. Questo “motore”, che lo induce a riflettere continuamente, lo spinge da sempre a cercare di comprendere e ad adoperarsi per un miglioramento generale.
È autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche. È stato insignito dell’Ordine del Cherubino, riconoscimento che viene assegnato a quei docenti che hanno contribuito ad accrescere il prestigio dell’università per i loro particolari meriti o per il contributo alla vita e al funzionamento dell’ateneo.
Nonostante l’evidenza delle sue qualità, che portano a descriverlo come una persona particolarmente dotata, ci dice: “Io non sono mai stato convinto di essere tanto intelligente. Mi sembra di essere normale. Mi funziona bene il cervello, ho avuto una buona formazione e ho una memoria molto forte. Ho anche una discreta manualità, che in laboratorio mi ha permesso di riuscire bene. La curiosità mi anima in tutto. Se qualcosa si guasta o non funziona, non delego subito a un tecnico, ma smonto, cerco di capire, di aggiustare, di sistemare le cose”.
Non è semplice riportare il contenuto del nostro colloquio, sia per la complessità della materia in sé sia per la varietà delle riflessioni, determinate proprio da un’inesauribile ricerca di comprensione.
Il rapporto tra scienza e fede, ad esempio, è uno degli argomenti su cui da sempre lo studioso si interroga. Lucacchini proviene da una famiglia cristiana che gli ha trasmesso un esempio e un pensiero che lo hanno accompagnato anche attraverso i suoi studi scientifici: “Io sono portato alla razionalità, a capire e a spiegare. Non mi convincono molto le strutture che la Chiesa si è data, né certi argomenti che, anche per ragioni di convenienza storica, sono stati sviluppati per inquadrare il messaggio del Vangelo, che è fondamentalmente un messaggio d’amore universale: ama il Signore tuo Dio e ama il prossimo tuo come te stesso”.
“Non mi piacciono nemmeno l’aria cupa che si respira e il senso del peccato esagerato”, continua. “Proprio a questo proposito il precedente priore di Sant’Ermete, don Janni, mi regalò un libro “Entra nella gioia”, che ho apprezzato proprio per la visione ottimistica della fede che promuoveva”.
L’argomento in questione per uno scienziato è sempre delicato: “Non capisco questa lotta tra scienza e fede. Probabilmente sono due aspetti che dovrebbero aiutarsi l’uno con l’altro, invece spesso finiscono per darsi noia perché c’è la pretesa di razionalizzare tutto e invece non è possibile. Quali prove si possono portare per dimostrare che Dio esiste o non esiste? Pasteur (n.b. Luis Pasteur universalmente considerato il fondatore della moderna microbiologia) sosteneva che lo scienziato di poca profondità è ateo, mentre lo scienziato di grande profondità è credente”. Per il professor Lucacchini il punto è la globalità del sistema: “Quanto più si approfondisce la materia, tanto più si verifica l’esistenza di un meccanismo generale che porta inevitabilmente a pensare che ci sia una logica dietro a tutto questo”.
Mentre noi ci affanniamo a scrivere nel tentativo di seguire i ragionamenti del professore per riproporli in modo fedele al pubblico, lui porta un esempio: “Mentre lei scrive – ci dice – usa molecole di glucosio nel cervello, che si trasformano in CO2 per produrre l’energia necessaria. Questa anidride carbonica entra in circolo e viene utilizzata dalle piante che la trasformano in glucosio, in amidi. Se si potesse marcare questa molecola si seguirebbe un percorso che mostrerebbe appunto l’esistenza di un meccanismo generale, dietro al quale è difficile non riconoscere una logica nel funzionamento”.
Il professor Lucacchini si è sempre adoperato per la ricerca volta fondamentalmente alla prevenzione dell’insorgenza di patologie gravi, nonostante gli incarichi istituzionali lo abbiano assorbito molto: “Ho ricoperto vari ruoli di responsabilità per spirito di servizio, ma la mia passione è sempre stata la ricerca. Da circa un anno sono libero da impegni ufficiali e mi posso concentrare completamente su questa”.
Lo studioso, inoltre, è membro di numerosi istituti, società e fondazioni di ricerca italiane e internazionali, dedicati a specifiche indagini volte al progresso scientifico.
La sua storia professionale ha inizio nel 1969 con il conseguimento della laurea in chimica con indirizzo organico-biologico presso l’università di Pisa. La particolarità dei suoi interessi l’ha portato a rivolgersi verso la facoltà di medicina decidendo, in accordo con l’allora direttore dell’istituto di chimica biologica della medesima facoltà, di laurearsi in tale ambito.
La biochimica è una materia interdisciplinare e si concentra sui meccanismi che stanno alla base di diversi sistemi: oggetto di analisi sono le cellule e le trasformazioni dei suoi componenti, come le proteine, i carboidrati, i lipidi, gli acidi nucleici ecc.. Tali indagini vengono svolte in vari ambiti scientifici, dalla genetica alla biologia molecolare, dall’agricoltura alla medicina, per avere la comprensione appunto a livello molecolare dei meccanismi che portano all’instaurarsi delle patologie.
Il professore spiega che il biochimico, secondo la corrente iniziale, operava indagini sempre più nello specifico, andando a studiare le molecole che componevano le cellule per cercare di comprenderne le funzioni (purificando gli enzimi, caratterizzandoli ecc.). Oggi invece la tendenza è di cercare di capire complessivamente cosa succede: “Nessuna proteina agisce isolatamente, ma interagisce con le altre. Ecco perché attualmente si tende ad avere una visione d’insieme e a cercare di capire i processi (systems biology)”.
Durante i primi dieci anni di attività Lucacchini si è concentrato sullo studio di enzimi, proteine di trasporto, di legame e di quelle che sono presenti sulla membrana delle cellule, le quali, essendo dei sistemi di traduzione di segnali, producono degli effetti all’interno delle stesse. Il suo interesse per la biochimica applicata alla medicina lo ha portato a concentrarsi anche sui recettori per i farmaci. Nello specifico ha studiato e caratterizzato il recettore per le benzodiazepine, farmaci molto utilizzati come anticonvulsivanti, ipnotici, ansiolitici. Per questa ragione ha interagito con neurologi, psichiatri, chimici farmaceutici e in parte anche con clinici medici.
Nel 1980, a trentacinque anni, è diventato professore ordinario di biochimica della facoltà di Farmacia. È stato direttore dell’Istituto Policattedra di Discipline Biologiche della stessa facoltà dal 1982, anno della sua costituzione, al 1997. L’Istituto Policattedra è nato proprio in conseguenza dell’interazione fra gli specialisti di biochimica e quelli di psichiatria, farmacologia, fisiologia, riunendo queste materie.
Il lavoro di ricerca trasversale portato avanti rispetto ai vari ambiti specifici ha determinato, inoltre, la nascita nel 1997 del Dipartimento interfacoltà di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, che Lucacchini ha diretto da quel momento fino al 2000.
In particolare il Dipartimento è sorto in virtù della collaborazione tra i ricercatori dell’Istituto Policattedra (sotto la facoltà di Farmacia) e quelli dell’ambito di psichiatria (sotto la facoltà di Medicina) guidati dal professor Cassano.
Da novembre del 2000 fino a novembre del 2008 Lucacchini è stato preside della facoltà di Farmacia, occupandosi come tale dei corsi di studio e della parte didattica. “Per non abbandonare l’attività di ricerca, che restava il mio grande desiderio, ho aumentato le ore di lavoro. Non mangiavo neanche”, racconta il professore.
Attorno al 2005, insieme ad altri colleghi, ha iniziato a occuparsi di proteomica, disciplina che studia le proteine cellulari su larga scala. Attraverso questa visione d’insieme si cerca di mettere a fuoco i cambiamenti che si verificano e che originano patologie. Uno degli scopi è cercare dei biomarcatori in grado di anticiparne l’insorgenza per prevenire in particolare malattie reumatiche, tumori, diabete, disturbi psichiatrici.
“La proteomica costituisce un passaggio di tipo praticamente filosofico”, spiega il professore. “Prima si seguiva un concetto quasi galileiano dell’ipotesi ‘a priori’, cioè sulla base di quello che si osservava si facevano delle ipotesi e poi si andavano a dimostrare (deduzione). Nella proteomica si procede ‘a posteriori’, cioè sulla base di dati desunti dalla sperimentazione si fanno delle ipotesi a posteriori (induzione), che si vanno a confermare naturalmente facendo degli esperimenti ad hoc”.
Chiediamo al professore come sia stato lavorare ed emergere nell’ambiente universitario, notoriamente selettivo: “È un luogo competitivo. È dura, praticamente una guerra. Io non sono mai stato geloso degli altri, ma mi è capitato di conoscere chi, sentitosi superato nei risultati, ha provato a mettermi in difficoltà”. Lucacchini appare molto sereno e si capisce da quanto riferisce che, nonostante anche lui abbia incontrato degli ostacoli, ha continuato a seguire i propri interessi con passione. “Come diceva mia mamma, Agatina, la mia particolarità è di avere gli occhiali rosa. Io vedo le cose con ottimismo, sono proiettato verso il futuro e credo nel miglioramento. Questa caratteristica visione della vita – fa notare il professore – ha un buon effetto anche sull’organismo, infatti facilita il superamento di eventuali patologie. Al contrario il malessere interiore riduce la risposta immunitaria. Tutti ci possiamo sforzare di avere un atteggiamento positivo, nella convinzione che evidentemente questo ci è d’aiuto”.
La sua famiglia è stata per lui un punto di riferimento: suo padre, Mario, gli è stato d’esempio per la fede cristallina e la fiducia nel bene, che lo hanno sostenuto anche in momenti difficili come la perdita della moglie e della figlia (sorella molto stimata del professore). Il papà era originario di Seravezza e ha svolto in varie località il ruolo di segretario comunale. La mamma era insegnante di calligrafia. Antonio Lucacchini, che è nato nel ’45, ha fatto le elementari in Garfagnana, le medie a Forte dei Marmi, il liceo classico a Viareggio.
I ricordi poi si allargano ai nonni, da parte materna in particolare molto istruiti per quei tempi: il nonno era laureato in storia e filosofia e la nonna preparata in matematica e fisica. Rammenta poi con particolare affetto la zia della propria moglie, Telda Frati, che era una maestra: “Da lei ho imparato a essere pronto a superare le difficoltà. Anch’io ho avuto tanti problemi, momenti su e giù, ma è importante concentrarsi sugli aspetti buoni, nonostante ci siano anche quelli negativi”.
Sposato con Laura Bazzichi, medico reumatologo che lavora per l’azienda ospedaliera universitaria pisana, (“lei è impegnatissima, abbiamo un rapporto di comprensione reciproca”) hanno due figli che hanno preso strade diverse da quelle dei genitori: entrambi lavorano in settori collegati allo sport e alle scienze motorie. “I figli hanno probabilmente subito il nostro lavoro. Sono contento che svolgano professioni diverse. Sono contrario a scelte ereditarie in questo senso. Ognuno deve seguire le proprie passioni e i propri interessi”.
L’ambiente domestico è inoltre arricchito da vari animali, tra cui due cani affettuosi salvati da situazioni di grave maltrattamento.
In conclusione, ma non ultimo in ordine di importanza, il rapporto con gli allevi: il professor Lucacchini è stato benvoluto dai suoi studenti. “Ho fatto centinaia di tesi e tuttora continuano a cercarmi. Mi rendo disponibile e per questo oggi collaboro con una mia ex allieva, attualmente professoressa ordinaria a Farmacia”.
“Ho avuto sempre comprensione per gli studenti. Quando lo ero io mi è capitato di soffrire, come altri miei compagni, atteggiamenti ostili da parte di alcuni insegnanti. Una volta diventato professore non ho voluto replicare tale modalità. Non è detto che se si respingono tanti allievi si sia dei bravi insegnanti. Al contrario, forse non si è insegnato bene”.