ALLA SCOPERTA DEI VULCANI

La passione per i fenomeni della terra, la ricerca per comprenderne i misteri, la responsabilità di coniugare conoscenze e sicurezza pubblica: in tutto questo si declina il lavoro di un vulcanologo. Il fortemarmino Augusto Neri è direttore del Dipartimento Vulcani dell’istituto nazionale del settore, INGV. La sua professionalità è frutto di un grande impegno, apprezzato a livello mondiale.

di Silvia Cecchi

Avanzare nelle conoscenze dei terremoti e dei vulcani è la principale missione di un ente pubblico di ricerca come l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Trattandosi di fenomeni pericolosi ed essendo l’Italia un paese molto esposto a tali rischi, i professionisti del settore hanno la responsabilità di trasferire il contenuto dei propri studi e le proprie conoscenze alle autorità di Protezione Civile allo scopo di proteggere la popolazione.

È un lavoro molto bello dal punto di vista dello studio e della ricerca, ma allo stesso tempo è carico di responsabilità”, dice il direttore del Dipartimento Vulcani dell’INGV, Augusto Neri. “Abbiamo il dovere di mettere le nostre conoscenze a servizio delle popolazioni a rischio e del nostro Paese”.

L’Italia è una terra fortemente sismica e ricca di vulcani attivi, è inoltre una nazione molto popolata che si estende su un’area relativamente piccola. Questa combinazione di fattori ne fa uno dei paesi più esposti a simili pericoli a livello mondiale, insieme al Giappone, alle Filippine, all’Indonesia e ai paesi del Centro e Sud America. Il Vesuvio e i Campi Flegrei, a est e ovest di Napoli, sono considerati tra i vulcani più pericolosi a livello internazionale; l’Etna è il più grande vulcano europeo e, insieme allo Stromboli, uno dei più attivi del pianeta. Milioni di persone vivono nelle loro vicinanze.

Purtroppo lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e della consapevolezza di vivere in aree a rischio – spiega il direttore – non è riuscito ad impedire la forte urbanizzazione di queste regioni. Oggi la sfida è cercare di gestire nel modo più efficace e sicuro possibile questo grande problema di protezione civile che si è venuto a creare”.

Il terremoto è causato da un rilascio istantaneo di energia elastica accumulatasi nella crosta terrestre. Per il momento non siamo in grado di poterlo prevedere, perché non conosciamo esattamente la natura del fenomeno e lo stato del sottosuolo. “Se si continuerà a investire sufficientemente nella ricerca, in futuro potrebbe essere possibile, almeno in alcune circostanze favorevoli, prevedere questi eventi”, dice Neri.

Neri in Giappone durante un’eruzione del vulcano Sakurajima

Sulle eruzioni c’è ancora tanto da comprendere, spiega il direttore, ma, rispetto ai terremoti, hanno il vantaggio che, anche se possono evolvere rapidamente, nella maggior parte dei casi danno dei segnali di allerta. Una eruzione vulcanica è causata dal magma che risale dalle profondità della crosta terrestre alla sua superficie. Avendo bisogno di crearsi spazio, questo frattura le rocce e quindi provoca terremoti, rilascia i gas in esso disciolti e deforma la superficie del terreno. Questa fase di risveglio può durare da alcune ore fino a diversi anni a seconda dei casi: “È un vantaggio, ma anche una sfida. I vulcanologi devono cercare di capire in fretta cosa potrebbe succedere, interpretando correttamente i segnali registrati. La tempistica con cui potrebbe evolvere la crisi è spesso molto incerta ed è difficile poter predire la potenza dell’eruzione che potrebbe avvenire. Questo ci carica di grande responsabilità”.

Augusto Neri ha fatto parte di un gruppo di ricercatori che dagli inizi degli anni ’90 ha sviluppato in Italia un nuovo metodo di studio delle eruzioni vulcaniche, basato sull’uso di modelli matematici e la realizzazione di simulazioni numeriche. Nello stesso periodo, a livello mondiale, esistevano solo altri due gruppi analoghi negli Stati Uniti e in Inghilterra.

Augusto con la madre Vanna il giorno della laurea

Partendo dal principio, si può dire che tutto sia iniziato in via Balilla a Forte dei Marmi. Augusto, classe 1963, viveva in questa strada con sua mamma Vanna, che lo ha cresciuto non facendogli mai mancare nulla nonostante i sacrifici sofferti per la morte prematura del marito Nello, che ha lasciato il figlio all’età di soli tredici anni. Augusto è andato avanti negli studi con impegno fino a laurearsi in Ingegneria chimica all’Università di Pisa nel 1990. L’anno successivo iniziò a collaborare col vulcanologo Franco Barberi, al tempo professore ordinario di Vulcanologia del Dipartimento di Scienze della Terra dell’ateneo di Pisa.

La famiglia Barberi abitava a sua volta in via Balilla e dunque il professore sapeva delle competenze ingegneristiche di Augusto. Per questo, quando nel ’91 decise di mettere su un gruppo di ricerca composto da giovani laureati con diverse formazioni (geologi, fisici, ingegneri, matematici), invitò anche Augusto. Fino ad allora lo studio dei vulcani si basava essenzialmente su analisi di terreno. L’intuizione di Barberi fu di voler simulare il loro funzionamento utilizzando anche modelli fisico-matematici e per raggiungere questo obiettivo affiancò al gruppo di giovani studiosi italiani anche un noto esperto americano di simulazione numerica.

“Il professor Barberi mi offrì l’opportunità di usufruire di una borsa di studio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e io, che ero sempre stato affascinato dai fenomeni della Terra, mi impegnai molto in questa nuova esperienza”, ricorda Augusto. “In pochi anni sviluppammo ricerche che ebbero diversi riconoscimenti, proprio perché consentirono di comprendere meglio processi fino ad allora mai analizzati”.

Gruppo di famiglia a Chicago per il conseguimento del titolo di Dottore di ricerca.

Nel 1995 Neri decise di proseguire la propria formazione negli Stati Uniti, a Chicago, con l’obiettivo di affinare ulteriormente le proprie ricerche di modellistica. “Ricordo che mia mamma soffrì molto per la mia partenza ma, allo stesso tempo, era felice che seguissi la mia strada. Le devo tanto per l’amore e gli insegnamenti che mi ha dato”.

Augusto si è diviso tra Pisa e Chicago fino a conseguire nel 1998 un dottorato di ricerca presso l’Illinois Institute of Technology in Ingegneria chimica applicata alla simulazione numerica delle eruzioni vulcaniche. Erano i primi anni in cui venivano svolti i dottorati di ricerca e Neri fu uno dei primi a conseguirlo all’estero.

Nonostante la formazione di alto livello, il primo posto di ruolo come ricercatore esperto gli è stato assegnato nel ’98 nel CNR di Pisa. “Ho fatto otto anni di precariato prima di essere assunto stabilmente”, racconta Neri. “In quegli anni andavo avanti con borse di studio e contrattini di ricerca, anche se purtroppo oggi la situazione dei nostri giovani ricercatori è ancora peggiore”.

Nel ’99 si formò un nuovo ente di ricerca nazionale, l’INGV appunto, su iniziativa ancora di Franco Barberi, in quel periodo Sottosegretario di Stato per la Protezione Civile, e del sismologo professor Enzo Boschi, che ne è stato a lungo presidente. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, oggi presieduto dal prof. Carlo Doglioni, è il più grande ente pubblico di ricerca che si occupa di Geoscienze in Europa e si avvale di oltre mille dipendenti. In esso sono confluiti alcuni dei più prestigiosi istituti Italiani dedicati allo studio dei fenomeni della Terra, come l’Osservatorio Vesuviano, che è il primo osservatorio vulcanologico al mondo fondato nel 1841 da Ferdinando II di Borbone, e l’Istituto Nazionale di Geofisica fondato nel 1936 da Guglielmo Marconi.

L’INGV si suddivide oggi in tre grandi Dipartimenti: Terremoti, Vulcani e Ambiente. Ha nove Sezioni dislocate in varie regioni d’Italia e la sede principale è a Roma. Neri è stato direttore della Sezione pisana, costituita nel 2005, per quasi otto anni. Dal 2016 è direttore del Dipartimento Vulcani dell’INGV, con sede a Roma. “Il nostro lavoro si svolge prevalentemente in Italia ma la nostra comunità e le nostre ricerche hanno una connotazione internazionale”, specifica il direttore. “Abbiamo molti colleghi stranieri con cui collaboriamo e spesso mi reco all’estero per realizzare progetti o per partecipare a convegni”.

Nel corso di quest’anno Neri ha ricevuto due importanti riconoscimenti internazionali. Il primo, la Medaglia Sergey Soloviev 2017, che gli è stata conferita dall’Unione Europea di Geoscienze (European Geosciences Union), la più grande associazione del settore a livello europeo. Il premio viene attribuito per contributi scientifici eccezionali nella ricerca e, nel suo caso particolare, per “la sua pionieristica ricerca in fluidodinamica, che ha rivoluzionato la comprensione dei processi eruttivi, e i suoi generosi sforzi in tutto il mondo per ridurre il rischio da colate piroclastiche e ricaduta di cenere e gas”. Il secondo premio gli è assegnato nell’ottobre scorso a Seattle negli Stati Uniti e consiste nella nomina a Membro Onorario della Società Geologica Americana. Questo premio viene conferito dal 1909 soltanto a uno o due ricercatori internazionali all’anno.

La famiglia Neri alla consegna della Sergey Soloviev Medal

Bisogna ricordare che dietro a tutto questo c’è il sostegno di una bella famiglia: la moglie Francesca e i figli Bianca e Francesco. “Se non avessi avuto mia moglie a sostenermi ed incoraggiarmi con grande amore e generosità in questi 20 anni di matrimonio non mi sarei potuto permettere un lavoro così. Francesca e i mie figli sono molto orgogliosi di quello che faccio anche se spesso sono via da casa o sono costretto a fare gli straordinari”. “Devo molto anche ai miei suoceri Lucia e Amos, agli zii Annamaria e Luciano e a mia cugina Emanuela per tutto il sostegno che mi hanno sempre dato”.

Tornando alla materia, il direttore commenta: “Noi esperti abbiamo il compito di studiare gli eventi naturali, analizzando a fondo e al meglio delle nostre possibilità i fenomeni sismici e vulcanici. Abbiamo anche il dovere di trasferire le nostre conoscenze allo Stato in maniera tempestiva e il più possibile precisa. È poi responsabilità della politica e degli amministratori locali recepire queste informazioni, promuovere la consapevolezza di questi pericoli nel territorio, adottare piani di mitigazione del rischio e di emergenza. Questo spesso è il passo più difficile da realizzare. Purtroppo non esiste ancora nel nostro Paese una vera cultura della sicurezza e spesso gli investimenti in questo settore vengono visti come superflui”.

Le tragedie sempre più frequenti legate ai rischi naturali ci ricordano quotidianamente che dovremmo fare molto di più: “Non è ovviamente possibile fare miracoli, come rilocalizzare estese aree a rischio densamente abitate o mettere in sicurezza il complesso patrimonio edilizio del nostro Paese, ma questi temi vanno affrontati con maggiore determinazione e urgenza da tutti i soggetti coinvolti”.

Il caso dei vulcani napoletani è esemplare: oltre 700 mila persone abitano sulle pendici del Vesuvio e oltre 400 mila all’interno dei Campi Flegrei. Il primo, dalla classica forma a cono, è ben riconoscibile; il secondo invece è una caldera vulcanica; in pratica si tratta di un vulcano sprofondato che si presenta come un’area depressa, dal diametro di dodici chilometri circa, costellata da decine di antichi crateri. Entrambi nel passato sono stati protagonisti di eruzioni imponenti. Nel caso del Vesuvio, il primo evento descritto in dettaglio risale al 79 d.C. quando Plinio il giovane, scrivendo a Tacito, descriveva il fenomeno responsabile della distruzione di Pompei ed Ercolano. L’ultima eruzione del Vesuvio risale al 1944, dopodiché il vulcano è entrato in una fase di riposo che dura fino ad oggi.

I Campi Flegrei hanno registrato l’ultima eruzione nel 1538 e nel passato hanno generato fenomeni ancora più grandi di quelli del Vesuvio. Dal 1950 a oggi si è registrato un sollevamento massimo del suolo di oltre tre metri e solo negli ultimi dodici anni c’è stata una crescita massima di oltre 40 centimetri, con diversi altri parametri di monitoraggio in significativo aumento (il Dipartimento di Protezione Civile ha elevato il livello di allarme dei Campi Flegrei da verde a giallo dal dicembre 2012).

I vulcani napoletani si caratterizzano per la capacità di creare esplosioni di cenere, lapilli e gas, in grado anche di formare flussi ad altissima velocità e temperatura che scorrono lungo le relative pendici. “La pericolosità di questi vulcani è tale che, in caso di eruzione, si potrebbero avere conseguenze non solo in Italia, ma anche a livello Europeo o forse mondiale”, spiega Neri. “Si tratta di scenari estremi molto poco probabili e che non vorrei neanche ipotizzare, ma che le nostre attuali conoscenze non ci permettono di escludere completamente. Centinaia di migliaia di persone dovrebbero essere evacuate in anticipo, essendo impossibile proteggersi da questi fenomeni”. A questo proposito esistono già piani nazionali di emergenza definiti dalla Protezione Civile.

L’Etna, nonostante la sua grandezza, poduce eventi di scala minore e il fatto che erutti più spesso ha permesso ai vulcanologi di studiarlo approfonditamente e di fare importanti esperienze. Ciò nonostante si potrebbero creare situazioni di grave rischio, come nel caso in cui si aprisse una bocca eruttiva a bassa quota in grado di minacciare i paesi circostanti.

“Noi siamo sempre di vedetta”, conclude il direttore del Dipartimento Vulcani. “Non possiamo sottovalutare nessuna situazione e lavoriamo al nostro meglio per poter essere pronti nel momento del bisogno. È necessario però l’impegno quotidiano di tutte le istituzioni e dei cittadini per cercare di ridurre i rischi naturali cui è sottoposto il nostro Paese”.

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