Chiesa sempre aperta nel deserto della città

Intervista al priore della Badia Fiorentina, padre Antoine-Emmanuel, appartenente alle Fraternità Monastiche di Gerusalemme (da “I Quaderni della Propositura” n. Agosto 2021)

di Silvia Cecchi

Nel precedente numero della nostra rivista ci siamo occupati dell’Ordine Certosino, composto da monaci che si dedicano alla preghiera in clausura, in silenzio e in luoghi isolati, secondo una regola basata sull’impianto benedettino, ma resa più rigida. Rispetto alle forme del monachesimo “classico”, come si caratterizza il vostro indirizzo?

La nostra è una vocazione in tensione: potremmo essere raffigurati quali consacrati dalle braccia allungate da un lato verso l’intimità con Dio e dall’altro verso il prossimo. L’unico modo per poter vivere questa polarità è l’amore. Solo con questo spirito possiamo evitare il rischio di chiuderci in una falsa vita contemplativa, una sorta di piccolo paradiso artificiale, così come di disperderci in tante relazioni superficiali. Papa Francesco ci ha espressamente incoraggiati a farci prossimi delle persone. Bisogna essere soli con Dio e pienamente con la gente.

Le vostre fraternità, distinte tra fratelli e sorelle, si riuniscono nella Badia Fiorentina per tutte le funzioni religiose (lodi, ora media, vespri e Messa). Essendo monaci, però, sono previsti anche momenti di preghiera nella solitudine della cella?

Sì. Questi due ambiti sono ugualmente essenziali per noi: se la nostra preghiera fosse soltanto liturgica potrebbe correre il rischio di diventare rappresentazione, se soltanto privata potrebbe portarci a chiuderci in noi stessi. Questo sistema rispecchia la “tensione” che caratterizza le nostre fraternità.
Il monaco è un cristiano impaziente di vivere il Cielo: desidera fare esperienza fin da subito del Regno di Dio e invita le persone a gustarne la gioia attraverso la lode e l’amore reciproco, che sono già un po’ di Paradiso.
Vogliamo essere un segno, speriamo profetico, che parli veramente della carità di Dio. Come consacrati non siamo posti al di sopra degli altri, ma al loro servizio. Siamo fatti della stessa creta di tutti, speriamo che il Signore possa usarci per il bene del prossimo.

Per venire incontro alle persone la Badia è sempre aperta. Si tratta, tra l’altro, di un luogo artistico e storico di grande importanza.

La chiesa è aperta tutti i giorni e per la durata dell’intera giornata (è chiusa il lunedì, giorno per noi monaci da dedicare alla preghiera in forma di “deserto”). L’ingresso è gratuito, ad eccezione delle visite turistiche del lunedì.
In questo modo intendiamo offrire la possibilità di “ossigenarsi” durante la routine quotidiana, dove ci si affanna come formiche indaffarate e frenetiche. La Badia vuole costituire un’oasi dove il silenzio, il raccoglimento e la preghiera possano lasciare spazio al soffio dello Spirito.

Quali altre iniziative promuovete a servizio dei cittadini?

In questo periodo di pandemia ogni sabato alle ore 17.00 preghiamo insieme il Rosario, naturalmente aperto a tutti, in chiesa. Alla Madonna è stato affidato un ruolo di capitale importanza per il nostro tempo, per pura misericordia. La maternità divina è immensa, ama e accoglie tutti. Maria ha affrontato grandi sofferenze per donarci Gesù.
Abbiamo, poi, costituito un piccolo gruppo interreligioso, che si riunisce una volta al mese. Leggiamo insieme l’enciclica del Papa “Fratelli tutti”, che si rivolge appunto all’umanità intera, per approfondire tematiche importanti per tutti. Non è nostra intenzione convincere nessuno, ma condividere con amici di credo diverso (protestante, sufista, buddista) un momento di ascolto reciproco di qualità.
“Visitazione” è invece il nome di un gruppo di ascolto della Parola curato da laici che sono legati alla Badia. Al momento l’appuntamento, due volte al mese, si tiene on-line a causa dell’epidemia in atto.

Secondo la vostra esperienza, quali sono le esigenze prevalenti nella società di oggi e quale fascia di persone frequenta il vostro complesso?

La Badia è frequentata da persone adulte, dai trent’anni in su. Vediamo pochi giovani.
Principalmente c’è bisogno di ascolto e di amicizia. Molti di coloro che incontriamo (laici impegnati nel mondo, madri di famiglia ecc.), pur avendo problemi comuni a tutti, hanno dei tesori di vita interiore che desiderano condividere.
È vero che nella realtà contemporanea c’è un senso di vuoto e di depressione, più che mai aggravato dalla pandemia, ma ci sono anche esperienze di Dio bellissime.
Ci sono orari in cui chi desidera può incontrarci, parlare, confessarsi con noi monaci. In occasione di questi colloqui, molte volte mi è capitato di ammirare il modo in cui Dio agisce nella vita delle persone. Il mio primo luogo di contemplazione è proprio l’incontro con il prossimo.
Tutti quanti abbiamo bisogno di confrontarci con gli altri, nessuno ha la verità in mano. Condividere la profondità della vita spirituale rende possibili amicizie bellissime.

Le Fraternità Monastiche di Gerusalemme sono presenti da ventitré anni a Firenze, dove erano state chiamate dal cardinale Piovanelli per offrire un servizio spirituale ai cittadini secondo la vostra specifica vocazione. Come è cambiata la città in questo arco di tempo?

Firenze è spopolata. C’è un nucleo di laici che amano la Badia e continuano a venire a pregare con noi, ma il centro è stato lasciato in balia del turismo. Sono sempre meno i fiorentini che vi risiedono.
Ci prendiamo cura dei visitatori, ma le condizioni sono completamente diverse da quelle che ci portarono in Toscana più di vent’anni fa.
Noi siamo fatti per la città vivente, popolata. Quello che oggi ci consente di rimanere in contatto con gli abitanti è soprattutto il nostro impegno lavorativo. Molti dei fratelli e delle sorelle svolgono attività part-time, come è previsto dal nostro “Libro di Vita”, proprio per condividere con tutti le fatiche, gli impegni concreti, le relazioni che costituiscono il tessuto sociale nel quale siamo inseriti.

Nel corso del nostro colloquio lei ha sottolineato con le parole di Papa Francesco che ci troviamo di fronte a un cambiamento di epoca, non più a un’epoca di cambiamento. Come affrontate questa sfida?

Mantenendoci presenti. Continuando a essere visibili e a dare testimonianza del “tappeto di preghiera” e del sorriso, attraverso la lode e l’amore fraterno. Non vogliamo costituire un museo folcloristico. Cerchiamo di farci servi e vicini del prossimo. A questo proposito, ad esempio, sono rimasto colpito dal fatto che un uomo senza pratica religiosa sia entrato in Badia per ammirare un’opera di Filippino Lippi e assistendo alla preghiera silenziosa in corso abbia avvertito il desiderio di convertirsi. È stato l’inizio di un bellissimo cammino di fede.
Ciò che mi impedisce di essere pessimista è la certezza che il Signore c’è e la sua fedeltà mi dà fiducia.
La difficoltà maggiore riguarda l’entrare in contatto le nuove generazioni. Bisogna chiedere al Signore di insegnarci ad andare incontro ai giovani, di saper ascoltarli, di lasciarci insegnare da loro e, insieme, di farci trovare il modo di comunicare loro la gioia di seguire Gesù.

La vostra congregazione è consacrata alla Madonna, verso la quale avete una devozione profonda.

Sì! Apparteniamo a Lei e rinnoviamo ogni anno la nostra consacrazione a Maria. Poi siamo in una chiesa, la Badia Fiorentina, dedicata alla Madonna!
Abbiamo la grazia di essere fratelli e sorelle. È un grande dono. Credo che la Chiesa potrà continuare a servire il mondo solo se ci sarà in essa un arricchimento reciproco fra uomini e donne. Ciascuno di noi ha bisogno dell’altro.
La Chiesa di domani non potrà essere guidata solo da maschi chierici. Poi dovrà assumere essenzialmente la dimensione di Chiesa domestica. Povera, piccola, perseguitata…sarà più che mai la Chiesa di Gesù!

 

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