Intervista al fondatore e superiore della Comunità di San Leolino, don Carmelo Mezzasalma (da “I Quaderni della Propositura” n. Agosto 2021)
di Silvia Cecchi
Dopo anni di insegnamento quale professore di storia e filosofia alle superiori e di letteratura poetica e drammatica all’istituto musicale ‘Boccherini’, oggi insegna letteratura agli studenti del triennio superiore dell’istituto paritario ‘Marsilio Ficino’ diretto dalla Comunità di San Leolino. Qual è la sua esperienza con i giovani?
Generalmente si è portati a pensare che la formazione sia una percorso temporaneo, invece è permanente. Nel mio cammino di insegnante ho sempre cercato di trasmettere agli studenti gli strumenti per mettersi in ricerca, per guardare oltre la tradizione e il modo di pensare del passato, che pure è importante conoscere. Il grande sforzo che portiamo avanti con i colleghi è quello di non fermarci alla “lezioncina”, ma di porgere la materia agli allievi in modo che possano sviluppare un modo di ragionare che è parte integrante del corso.
Ritengo che sia determinante fare sì che la preparazione scolastica non sia vissuta come un percorso di apprendimento volto essenzialmente al superamento di un traguardo, ma come iter capace di aprire orizzonti e di stimolare la creatività personale. Di mezzo infatti c’è la vita: una persona potrà aver conseguito anche dieci lauree, ma non ne sarà all’altezza se la sua vita interiore è povera e priva di spiritualità.
Il carisma della vostra comunità religiosa è quello di adoperarsi come ponte tra la fede e la cultura, attraverso l’insegnamento, l’arte, la musica. Per una persona credente avere un adeguato bagaglio intellettuale è determinante per rifuggire da forme di fondamentalismo religioso, ma perché è importante anche l’inverso, ovvero che una persona di cultura abbia fede?
È la condizione antropologica dell’uomo che lo richiede. Avere tutto dalla vita non esaurisce la complessità dell’esistenza. La cultura così detta alta è necessaria, ma ha bisogno di rinnovarsi perché non è all’altezza delle grandi domande di senso che sono insite nella persona. Si ha infatti la necessità di coltivare se stessi oltre la realtà quotidiana. Conoscere la storia e la filosofia è essenziale, ma non soltanto in senso nozionistico, perché in questo modo non si capisce quanto le materie umanistiche siano state capaci di dialogare con i problemi dei tempi. Occorre discernere ciò che appartiene al passato rispetto alle questioni che restano sul tavolo.
Quando insegnavo filosofia mi impegnavo moltissimo per fare capire ai miei allievi che non si trattava di una mera disciplina scolastica. La filosofia infatti offre gli strumenti per imparare a distinguere le differenze che esistono tra i valori, quelle che sussistono nel modo di pensare e di essere; porta ad approfondire la propria condizione, la storia che viviamo.
La grande sfida per la cultura “alta” è mantenere la domanda sulla trascendenza, su Dio, rispetto a una realtà dove dilagano secolarizzazione e disincanto.
La musica, la pittura, l’arte nel suo insieme possono essere un tramite verso la metafisica?
È importante combattere contro l’analfabetismo che porta a un vuoto esistenziale. Bisogna coltivare una ricerca personale, aprendosi a tante chiavi di lettura. La vita di ogni essere umano è preziosa. Non siamo calati nell’esistenza senza arte né parte. Pochi capiscono che Dio è un Dio della speranza. Non ci chiede prestazioni religiose. Cammina con noi, vuole la storia umana, nonostante tutto. Noi siamo importanti qui e ora, ma siamo indirizzati verso Dio: la nostra vita continua. L’arte, la musica, la letteratura, la parola non banale sono in grado di tenere una finestra aperta sull’universo spirituale.
L’epidemia da Coronavirus ha provocato tante difficoltà e sofferenze, con serie conseguenze sia a livello economico che psicologico.
La pandemia ci costringe a pensare in modo diverso. Riteniamo ancora che il modello individualistico e narcisistico dominante sia giusto? Credevamo di essere completamente autonomi, ma non è così.
La crisi economica rischia di indurre le persone a ritenere che non valgono niente, perché non riusciranno a raggiungere gli standard ambiti nella società. Tale situazione mette in evidenza quindi anche una crisi di senso. Per questo è fondamentale che la persona coltivi se stessa oltre la vita quotidiana, dedicando del tempo alla propria maturazione interiore. In questo contesto è fondamentale l’enciclica del Papa “Fratelli tutti”.
Le nuove tecnologie e la scienza sono diventate le protagoniste assolute del nostro tempo. La fede e la pratica religiosa sembrano relegate a un mondo superato, antiquato, in cui la ragione ha un ruolo marginale.
Per cultura oggi si intende lo stile di vivere e il modo di pensare. Predomina una visione edonistica della vita, che esclude la fede. Gli uomini si sono buttati a capo fitto nel consumismo e hanno rotto quel patto che esisteva tra le generazioni, in cui il valore della fede veniva trasmesso di padre in figlio. Oggi le famiglie non ritengono più che credere nel Signore sia importante per strutturare la vita di una persona. Prima invece era considerata una questione seria e determinante. La Chiesa, che è sempre stata un punto di riferimento, oggi non è più al centro.
La cultura diffusa nella società contemporanea è quella che inculca i pregiudizi. I giovani sono i più esposti a questo fenomeno. Accolgono immediatamente questi suggerimenti perché sentono il bisogno di essere accettati. È comprensibile, ma ciò li spinge al conformismo. Crescendo, inoltre, sembra che siano chiamati a tralasciare la fede, considerandola quasi una cosa da bambini.
Perché?
Si è imposto un movimento intellettuale che identifica la fede con l’istituzione ecclesiastica, la quale ha i suoi problemi. Esiste un pregiudizio legato a una grande ignoranza religiosa. Coloro che sviliscono e sottovalutano il valore della fede non sanno di cosa e di Chi si parla.
In questo contesto la Chiesa è chiamata a ripensare al modo di mettersi in relazione con il prossimo. La trasmissione del ‘credo’ secondo i canali tradizionali non tiene conto dei cambiamenti profondi e strutturali che sono intervenuti nella società, nella quale Dio è come se non esistesse. Di fronte a questo la fede è stata confinata nelle sue istituzioni. Il catechismo in parrocchia oggi non basta più, anche se le chiese costituiscono un varco importante verso Dio e la trascendenza. Occorre aggiungere un lavoro nuovo per dialogare con le persone, che non parlano con nessuno delle loro problematiche e del vuoto interiore che non riesce ad essere colmato da niente.
In questo senso la Comunità di San Leolino, di cui lei è il fondatore e il superiore, punta sull’arte nelle sue varie espressioni e sull’educazione, anche scolastica, per sperimentare un nuovo percorso capace di avvicinare le persone a Dio.
Il nostro è un lavoro da pionieri. Siamo una piccola comunità se consideriamo i membri che la compongono in senso stretto, ma l’attività di promozione culturale alla quale ci sentiamo chiamati è capace di spingersi molto oltre i confini di un luogo o di un istituto. Il Signore semina sempre nel piccolo, però poi quel granello di senapa diventa un grande albero. Noi non lo vedremo, ma avvertendo il Suo amore per noi, ci fidiamo di Lui e ci impegniamo a coltivare i semi buoni.
Il pericolo è pensare che la fede sia un fatto sociale. Non è così. È una verità, che completa la nostra vita e le dà una struttura che altrimenti non avrebbe.
Gesù ha una visione dell’esistenza umana che non ha nessun altro fondatore di religione. Ci vuole accompagnare, non ci vuole convincere. L’essere umano è portato a mettersi in ricerca, a interrogarsi. Ha bisogno di trovare in Dio, attraverso la figura del Figlio, il suo fondamento, l’unico in grado di dare senso, stabilità e bellezza alla nostra vita.
Fra le varie attività che portate avanti, vi prendete cura anche dei luoghi che vi sono stati affidati, come la Pieve di San Leolino e la Certosa di Firenze. Si tratta di ambienti antichi, ricchi di storia e di opere d’arte. Provvedete a costanti interventi di restauro e vi preoccupate di renderli fruibili al pubblico.
I luoghi sono importanti: sono un segno della presenza del Signore nella vita dell’uomo. Chi assume la gestione di ambienti simili senza capire perché sono nati e senza rispettare la loro natura, li deforma. Nella fede cristiana niente è museo. Valorizzare queste strutture, salvarle dall’oblio, è un modo per ricordare che questi luoghi fanno parte della vita di tutti. Il nostro sforzo nella loro cura è dovuto al fatto che li sentiamo casa di Dio.
Lei è diventato sacerdote una decina di anni fa, dopo un lungo periodo di insegnamento e di attività come intellettuale e musicista. Come mai questa scelta?
Quando si è formata la Comunità, il Signore mi ha fatto capire che era arrivato il momento giusto per intraprendere questo cammino e io, come sempre, mi sono fidato. Negli anni precedenti avevo potuto sperimentare a pieno la bellezza dello studio e della musica, attraverso esperienze importanti sia in Italia che all’estero, da cui il desiderio di trasmettere l’amore per la conoscenza ai giovani.
Il Signore però è stato sempre presente nel mio percorso. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia dove la fede era molto sentita. Mia madre è stata per me un grande esempio di coerenza tra ciò che credeva e viveva. Fin da ragazzo ho provato attrazione per il sacerdozio, ma questo desiderio è rimasto latente finché ho avvertito chiaramente che era arrivato il momento di trovare il centro della mia vita in Dio.