IL PROGRESSO E LA MEMORIA

Vando D'Angiolo, a sinistra, con il fratello monsignor Danilo
Vando D’Angiolo, a sinistra, con il fratello monsignor Danilo

La povertà, la fatica, il desiderio di voler riuscire fanno parte della storia di Vando D’Angiolo, imprenditore del settore lapideo che si è fatto da sé, portando la propria azienda a spiccare in ambito internazionale.

Il suo successo è frutto di un lavoro di squadra, nel quale è stato fondamentale il rapporto con i dipendenti, considerati come una grande famiglia. D’Angiolo è rimasto fiero delle sue umili origini e non ha mai dimenticato i suoi cari e il proprio paese, che ha sostenuto nel tempo tramite la “Fondazione Mite Giannetti D’Angiolo”.

DI SILVIA CECCHI

Una vita legata al marmo e alla tradizione di un territorio famoso per le sue cave; una vita spesa per lo sviluppo dell’arte della lavorazione lapidea, puntando su qualità e innovazione. Vando D’Angiolo è un esempio nel settore industriale tipico dell’area apuana: un imprenditore che si è fatto da sé, impegnandosi nel lavoro fin da giovane e portando contemporaneamente avanti gli studi fino alla laurea; un uomo che ha creduto nelle proprie capacità e nell’importanza di avere a fianco a sé collaboratori e dipendenti validi e motivati.

La sua carriera è partita dal basso ed è maturata nel tempo, guidando verso il successo la propria azienda, che si distingue a livello internazionale per la capacità di lavorare marmi e altre materie prime, estratte a Carrara o acquistate in tutto il mondo, e di realizzare con esse opere complesse che richiedono grande ingegno e macchinari all’avanguardia.

Si tratta della “Campolonghi”, capogruppo di una serie di consociate o controllate, nota per le sue collaborazioni con architetti famosi a livello mondiale, tra cui Renzo Piano, Mario Botta, Kenzo Tange, Santiago Calatrava, César Pelli etc. Tra gli edifici realizzati nel mondo con materiali e lavorazioni commissionati all’azienda si annoverano edifici tra cui il Municipio di Tokyo, l’Opera House di Oslo, la chiesa di San Pio da Pietrelcina, torri e palazzi in America, negli Emirati Arabi, nel sud-est asiatico, pavimentazioni e rivestimenti di aeroporti e stazioni metropolitane.

Il nostro incontro con “l’anima” della Campolonghi avviene proprio nella sede principale del gruppo a Montignoso. Vando D’Angiolo, oggi ottantaseienne, ci accompagna a visitare i vari reparti dell’impresa che si estende su una vasta area. Il nostro sopralluogo inizia dal capannone dedicato al piano di posa, dove vengono stese le lastre e gli altri tipi di prodotti che dovranno andare a comporre rivestimenti, facciate e quant’altro per verificare la conformità dei materiali e stabilire l’ordine di posizionamento. In seguito ci spostiamo nella segheria, dove vengono tagliati i blocchi di pietra con macchinari diversi a seconda del tipo di materia da lavorare; poi c’è l’area di imballaggio; quindi il reparto macchine per le grandi produzioni; infine il laboratorio per il taglio a misura, le rifiniture, la fase della lucidatura dei prodotti. L’impresa opera nel rispetto di tutte le normative riguardanti il suo settore e si avvale di un importante sistema per il riciclo delle acque, essenziali nel processo di lavorazione, che possono essere così riutilizzate riducendo sprechi e costi.

Particolare di un reparto della sede principale della Campolonghi
Particolare di un reparto della sede principale della Campolonghi

Durante il nostro tour conoscitivo, Vando si ferma a scambiare qualche parola con diversi degli operai che incontriamo. Ha uno stile improntato alla modestia, si muove con disinvoltura in ogni reparto, conosce ogni passaggio utile al processo produttivo, ci indica i vari tipi di macchinari, le funzioni automatiche e il ruolo dei vari operatori. Si sente uno di loro, anzi si può ben dire che li considera un po’ come suoi figli. Per rendere l’idea, ci indica un caporeparto mentre è all’opera insieme ad altri dipendenti: “Vede, quello è il capo di questo comparto, ma è un capo che lavora”. Poi scherza con un altro addetto mentre questo è al monitor di un un impianto computerizzato per il controllo dei materiali: “Questo è un vagabondo, vede passa il tempo a giocare col computer!”. Il dipendente ribatte scherzando: “E mi pagano pure”. Gli operai hanno età varie e durante il percorso incontriamo anche un dipendente di origine orientale: “Lui ha iniziato a lavorare da bambino”, ci racconta Vando. “Questo è il mio babbo italiano”, risponde il tecnico, oggi maturo. Insomma, basta affiancare lo storico titolare per capire dal vivo il rapporto positivo che ha costruito con i suoi impiegati.

Per questo motivo anche le relazioni con la rappresentanza sindacale sono sempre state costruttive. Le riunioni erano forti di contenuto, ma basate sulla stima reciproca fra principale e lavoratori. Ce lo fa notare la moglie di Vando, Paola Baronti, impiegata della Campolonghi da prima che D’Angiolo ne assumesse la guida. “Lui è la punta di diamante di una squadra che è l’azienda”, ci dice. “Ha sempre valorizzato le persone, dal dirigente al portiere, perché ognuno svolge una mansione importante per il cliente e per il buon funzionamento dell’impresa. Devo sottolineare che ha concesso molta autonomia a tutti, dando importanza anche al ruolo delle donne. Il suo arrivo è stato molto positivo nella dinamica interna del gruppo”.

D’Angiolo è sempre stato orgoglioso di non aver mai licenziato nessuno né essere ricorso alla cassa integrazione. Si è sempre interessato alle necessità dei propri dipendenti e i successi del gruppo sono stati un’occasione per investire nella formazione del personale. Per tutti questi motivi è stato insignito di importanti riconoscimenti come il titolo di “Cavaliere del lavoro”, onorificenza conferita dal Presidente della Repubblica per i risultati raggiunti nell’attività d’impresa, nella creazione di sviluppo e di posti di lavoro e per un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nel Paese.

Originario di Azzano, paese di cavatori sulla montagna versiliese, non ha mai dimenticato le sue origini umili e ha sempre cercato di sostenere il territorio e i suoi abitanti. In quest’ottica va considerato il suo attivismo nella Pubblica Assistenza, per la quale ha ricoperto incarichi a livello locale, come presidente, a livello nazionale, come tesoriere, e a livello regionale, come vicepresidente.

Sempre a vantaggio della collettività ha costituito, insieme al fratello monsignor Danilo, la “Fondazione Mite Giannetti D’Angiolo”, dedicata alla memoria della loro mamma, che, vedova di guerra, ha cresciuto e spronato i propri figli a riscattarsi da una condizione di povertà economica non facile.

Vando e mamma Mite D'Angiolo
Vando e mamma Mite D’Angiolo

La finalità principale della Fondazione è di sostenere i ragazzi della montagna seravezzina in attività scolastiche ed extrascolastiche. Prima che la zona si spopolasse, la scuola elementare di Azzano grazie al contributo della Fondazione ha messo a disposizione degli studenti un’aula di informatica attrezzata di computer. In accordo con la direzione didattica è stato poi investito nella presenza di insegnanti di sostegno e di lingua straniera. Sono state anche aiutate scuole del piano, quali gli istituti d’arte Palma di Massa e Artemisia Gentileschi di Carrara, tramite contributi finalizzati alla concessione di borse di studio e per garantire insegnanti per lezioni di recupero e di sostegno.

La Fondazione, inoltre, collabora con “Arpa”, onlus creata nel 1992 dal professor Franco Mosca, all’epoca direttore della Divisione di chirurgia generale e trapianti dell’università di Pisa, per promuovere la ricerca e la formazione nei vari campi della sanità.

Sia a nome della Fondazione che a titolo personale, sono stati finanziati poi vari altri interventi, fra cui la ristrutturazione e l’ampliamento della Pubblica Assistenza di Azzano, punto di riferimento per gli abitanti del territorio; i lavori di stabilizzazione della Pieve e il rifacimento della piazza; attività ricreative per adulti e giovani.

Vando ogni sabato sale insieme al fratello al paese natio di Azzano per una preghiera sulla tomba di mamma Mite e dei defunti della famiglia. Nel cimitero pubblico è stata eretta una cappella aperta (una sorta di ciborio intorno a un altare, con l’immagine di un uomo che soffre e prega), commissionata dalla Fondazione all’architetto Mario Botta in collaborazione con lo scultore Giuliano Vangi, con cui D’Angiolo ha stabilito un legame di stima e amicizia reciproca.

Il rapporto con il fratello, Canonico della Primaziale di Pisa, è sempre stato molto forte. I due ragazzi sono stati seguiti fin da piccoli dalla madre che ha lavorato e faticato per garantire loro gli studi e un futuro migliore. Questa esperienza di vita passata li ha uniti e nel tempo i due si sono sempre tenuti in contatto e aiutati reciprocamente secondo i rispettivi ruoli e le rispettive possibilità.

D’Angiolo ha tutt’oggi rapporti con personalità e clienti di ogni parte del mondo, dai quali riceve costantemente riconoscimenti per le capacità, l’attenzione e la passione espresse nello sviluppo dei progetti.

Nel 2013 è stato attribuito all’imprenditore il “Campano d’Oro”, riconoscimento in onore di ex allievi dell’ateneo pisano che si siano distinti nel campo della cultura, dell’arte e delle professioni. In occasione della cerimonia di premiazione sono stati tenuti vari interventi che hanno approfondito l’esperienza di D’Angiolo. I contributi sono stati poi riportati sul periodico “Il rintocco del Campano”, da cui abbiamo tratto una sintesi della biografia dell’imprenditore, descritta nella rivista universitaria dettagliatamente da Carlo Casarosa, professore emerito di economia politica.

Particolare della cappella, foto tratta dal libro 'Di fronte all'Altissimo', a cura di monsignor Timothy Verdon
Particolare della cappella, foto tratta dal libro ‘Di fronte all’Altissimo’, a cura di monsignor Timothy Verdon

Vando D’Angiolo è nato nel ’32 e, avendo perso il padre nel ’44, è stato seguito dalla madre e dal nonno Benvenuto che ha fatto a lui e al fratello praticamente da padre. Vando aiutava il nonno, che in precedenza era stato cavatore, mestiere comune per gli abitanti della zona, ad accudire il gregge di famiglia e nei lavori del terreno di casa. Nonostante le condizioni dure del tempo, la mamma Mite si è adoperata per far sì che i suoi ragazzi continuassero a studiare in modo da avere la possibilità di una vita migliore, trasmettendo loro il senso del sacrificio e la tenacia, ma anche i valori umani e cristiani.

Vando è dunque riuscito a diplomarsi in ragioneria e subito dopo è entrato a lavorare nell’importante impresa di escavazione e lavorazione del marmo “Henraux”, dove si è fatto molta esperienza. Contemporaneamente ha voluto iscriversi all’università: ha studiato la sera, i giorni liberi e ha preso le ferie per dare gli esami, laureandosi in economia e commercio nel ’57. Nel ’62, insieme al ragionier Frediani che ricopriva il ruolo di capocontabile, ha lasciato la Henraux, dopo un periodo di circa undici anni, perché le condizioni offertegli non lo soddisfacevano più come in precedenza. I due, accomunati da amicizia e stima, erano intenzionati a svolgere attività di consulenza aziendale e commercialistica, ma le circostanze li hanno portati quasi subito a dar vita alla “Freda”, attiva nel settore del marmo. Diversi clienti stranieri con cui Vando aveva lavorato in precedenza, avendo un rapporto di fiducia con lui, erano andati infatti a ricercarlo per affidargli del lavoro. La Freda inizialmente fungeva da collegamento tra committenti e produttori, poi ha acquistato un laboratorio per produrre in proprio, quindi si è espansa sempre di più.

Nel ’68 si è offerta a D’Angiolo e Frediani l’opportunità di entrare da protagonisti nella Campolonghi, fondata da un imprenditore italo-argentino, che lavorava soprattutto graniti commercializzati a livello internazionale. L’investimento dei due soci in quest’impresa è cresciuto nel tempo, finché dal ’76 ne hanno detenuto il pieno controllo. Quando, dieci anni dopo, Frediani ha lasciato per limiti d’età, D’Angiolo è divenuto proprietario unico dell’azienda.

Lo storico titolare ha due figli: il maggiore Giuliano, a cui ha passato il testimone operativo del gruppo, e Stefano.

“La povertà, la fatica, la durezza del lavoro, il desiderio di voler riuscire a tutti i costi, si sono trasfuse nel mio lavoro”, ha detto D’Angiolo nel ritirare il Campano d’Oro. “Solo chi ha vissuto e provato queste peculiarità sa cosa significa avere un lavoro e di come sia importante e di come sia dura quando non c’è”.

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