La rivista di Natale aveva in copertina l’effigie della venerata Madonna di Sotto gli Organi, “pellegrina” nei vari Vicariati della Diocesi, nell’occasione del IX centenario della dedicazione del Duomo di Pisa.
Nell’editoriale spiegavo il significato ecclesiologico dell’iniziativa suggerita dal nostro Arcivescovo: Maria, che nel Cenacolo custodiva, incoraggiava e guidava gli amici di Gesù – la prima Chiesa – continua anche oggi a custodire, incoraggiare e guidare la Comunità cristiana nel delicato compito d’annunciare il Vangelo di Gesù alla società contemporanea; per questo motivo la Madonna può essere indicata e invocata come Madre della Chiesa oggi come ieri.
Nel presente editoriale vorrei tornare sull’argomento intanto perché in questo stesso numero viene presentato il resoconto fotografico della “Peregrinatio Virginis” di cui sopra ma anche perché la questione ecclesiologica è di viva attualità nel particolare, difficile, momento storico che stiamo vivendo.
Chi erano dunque questi amici di Gesù?
Ovviamente i discepoli sui quali, stando a quanto dice il libro degli Atti, nel giorno della Pentecoste era sceso lo Spirito santo in forma di fuoco trasformandoli nell’intimo e abilitandoli stavolta in qualità di apostoli all’annuncio del vangelo.
Faccio notare, per inciso, che i termini “discepoli” e “apostoli” anche se si riferiscono agli stessi personaggi non sono sinonimi: il Vangelo li chiama “discepoli” quando sono alla scuola di Gesù, li chiama invece apostoli quando vanno ad annunciare Gesù.
Ma soltanto questi discepoli-apostoli erano abilitati all’annuncio del vangelo?
Stando al Vangelo di San Luca, lo stesso autore che negli Atti degli Apostoli riferisce l’episodio della Pentecoste, anche altri discepoli, stando al testo ben settantadue, pur non appartenendo al collegio apostolico, ebbero lo stesso incarico, lo ebbero da Gesù in persona e conseguirono buoni risultati (cfr. Lc 10, 1-17).
Anche nelle lettere di San Paolo e nei testi dei Padri apostolici leggiamo di semplici cristiani che annunciavano Gesù senza essere in competizione con i ministri ordinati.
Perché allora oggi, nonostante questi chiari riferimenti biblici ripresi di continuo anche dal Magistero, particolarmente dal magistero del Vaticano II, i consacrati continuano ad avere l’esclusiva dell’annuncio del Vangelo?
Penso che, al riguardo, ci siano precise responsabilità sia da parte dei laici che dei consacrati, sacerdoti e diaconi.
Due esempi, vissuti da me, personalmente.
Ricordo con nostalgia gli anni del seminario quando, ormai studente di Teologia, venni pian piano avviato alla pratica pastorale dapprima come come semplice uditore di prediche poi accolito e lettore nelle varie chiese di Pisa.
Successivamente mi venne proposto un impegno più articolato: non soltanto il servizio liturgico all’altare ma anche il confronto con i miei coetanei, in settimana con il Movimento Studenti e nel fine settimana nella mia parrocchia d’origine con un’attività poliedrica: dai ritiri spirituali alle cene in allegria, dai momenti di condivisione degli ideali cristiani all’organizzazione delle fiere di beneficenza, dai calci al pallone alle prove di canto… con don Antonio, il mio direttore spirituale, che mi spronava a fare sempre di più e il mio parroco che mi frenava.
Momenti bellissimi vissuti con l’entusiasmo tipico dell’età giovanile con tanti, tanti giovani animati, pur con qualche sbavatura dovuta all’età, dal desiderio sincero di far conoscere e amare il Signore.
Venne poi, finalmente, il giorno tanto atteso della mia Ordinazione sacerdotale.
I miei amici, sia quelli del Movimento sia quelli della Parrocchia, erano presenti al gran completo, emozionatissimi.
Anch’io ero emozionato ma riuscii a contenermi restando concentratissimo per tutta la durata della lunga cerimonia.
Soltanto alla fine, proprio incontrando questi miei carissimi amici, venni sopraffatto dai sentimenti e mi scese perfino qualche lacrimuccia.
Ci furono sorrisi, saluti, baci & abbracci ma anche una battuta impropria che mi costrinse a fare (di nascosto) i debiti scongiuri.
“Caro don Piero adesso tocca a te tirare il carretto”.
“Beh, per fortuna ci siete voi ad aiutarmi ” risposi gàrrulo.
“Veramente noi saremmo quelli appollaiati sul carretto; al massimo potremo darti qualche buon consiglio, sempre se ti andrà di accettarlo, ma non oltre.
Quindi non farti soverchie illusioni”.
Il tutto finì con delle belle risate ma mi rimase una pulcetta nelle orecchie…
Passati ormai molti anni da quella battuta sfuggita in perfetta buona fede da un amico carissimo devo riconoscerne, a malincuore, la verità!
Infatti spesso il prete si ritrova come gli asini che guardano in terra e tirano il carretto (con sopra comodamente seduti i laici magari intenti a pontificare sulle debolezze dei ministri della Chiesa) finché hanno forza senza che nessuno avverta il dovere di condividerne l’onore e l’ònere di annunciare il Vangelo.
E questo proprio non va bene.
Come in tante altre questioni, anche al riguardo, c’è il rovescio della medaglia.
Pure in questo caso mi riferisco a un episodio lontano nel tempo.
Ormai ero parroco a San Casciano di Càscina e quindi avevo il dovere canonico di istituire il Consiglio Pastorale della parrocchia.
Devo dire che fin da giovane sacerdote ho sempre cercato di tenermi aggiornato nelle varie discipline teologiche – incluso il Diritto Canonico – leggendo, partecipando a corsi d’aggiornamento come pure frequentando sacerdoti colti e preparati pastoralmente.
Frequentavo allora un confratello d’avanguardia: era stato fra i primi a mettere in atto le indicazioni conciliari: nella sua parrocchia esisteva un consiglio pastorale aperto ai laici estremamente efficiente. I consiglieri erano stati scelti con cura dal parroco e ognuno aveva un proprio specifico settore d’azione con il parroco stesso a coordinare il tutto.
Ero rimasto ammirato e avevo anche provato a imitarlo seguendo però un metodo a mio avviso più democratico: la votazione.
Il risultato era stato pessimo: i miei parrocchiani infatti, pisanacci burloni, nel segreto dell’urna mi avevano votato come presidentessa del consiglio pastorale una cara signora, tuttofare della parrocchia, ma pressoché analfabeta e per di più con un carattere tremendo.
Non avevo avuto il coraggio di pubblicare il risultato che rimandavo di continuo adducendo le scuse più inverosimili.
Pensai quindi di rivolgermi, per avere suggerimenti atti a farmi superare l’impasse nella quale mi ero cacciato, al sopracitato confratello che mi invitò a partecipare a una seduta del proprio consiglio per trarne un utile insegnamento.
L’ordine del giorno, stilato dal segretario e controfirmato dal parroco, prevedeva un argomento apparentemente innoquo e cioè il catechismo degli adolescenti.
Il tempo di recitare la preghiera allo Spirito Santo e mi trovai al centro di una vera e propria battaglia verbale dapprima fra i consiglieri poi fra i consiglieri e il parroco, duramente contestato per i suoi metodi educativi “arcaici”.
Quando ormai paventavo un ammutinamento da parte del Consiglio, il parroco, livido in volto, si alzò e citando il Santo Vangelo disse: “Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi! Quindi fuori dalla mia canonica! Il Consiglio è sciolto, – e dopo un attimo – per sempre!”
Detto questo li cacciò fuori e per poco non mi cacciò anche me inferocito com’era.
Da questo episodio trassi effettivamente un duplice insegnamento.
Intanto che la comunità parrocchiale non è un’azienda e quindi certe metodiche assembleari tipiche delle aziende sono poco funzionali allo scopo checché ne scrivano i pastoralisti da tavolino.
E poi che i laici, almeno su certi argomenti, hanno diritto alla loro autonomia opinionale e non possono essere zittiti e addirittura redarguiti se la pensano in modo difforme rispetto al Parroco.
A questo punto la conclusione, probabilmente banale, ma penso necessaria visti i tempi che corrono e soprattutto quelli che verranno in un futuro ormai… imminente.
È chiaro che consacrati e laici hanno un proprio specifico per cui non è né logico né possibile invertire i ruoli.
Però, stando al Vangelo e al dettato Conciliare già citato in precedenza, visto che il dovere di “disseminare la Fede” (Lumen Gentium 17) non riguarda soltanto i consacrati ma tutti e singoli i fedeli è auspicabile che gli uni e gli altri lavorino insieme, possibilmente in armonia.