di DON PIERO MALVALDI
Papa Francesco ha indetto un nuovo Sinodo per approfondire la questione giovanile in relazione alla vocazione sacerdotale: è sotto gli occhi di tutti, infatti, la drammatica situazione dei nostri tempi con seminari semivuoti, pochi sacerdoti giovani oberati di mille impegni e molti anziani ormai prossimi al traguardo finale.
In questo contesto già difficile è esploso da alcuni anni il serio problema della omosessualità (con episodi addirittura di pedofilia) che ha coinvolto anche alti prelati, Vescovi e Cardinali! Si è verificato, di conseguenza, un terribile scollamento fra la Chiesa, intesa come istituzione, e le generazioni giovani ormai poco propense a dare fiducia a un Clero tanto mondano e corrotto.
Con tutto questo non mancano segnali positivi: i genitori continuano a iscrivere i propri ragazzi al catechismo per i Sacramenti; l’ora di religione continua a essere seguita con interesse (vedi ad esempio il lavoro curato dai giovani del Liceo cittadino e pubblicato in questo numero della rivista); i sacerdoti, almeno quelli della nostra Versilia, godono di stima e considerazione; vengono Ordinati nuovi giovani sacerdoti (leggi l’intervista a seguire sempre in questo stesso numero); numerosi laici frequentano la scuola teologica e si rendono disponibili al servizio pastorale ecc.
Lasciando dunque alla Provvidenza divina di guidare le sorti della Chiesa in questo particolare momento storico tutti però dobbiamo impegnarci per far conoscere ai giovani la bellezza e l’importanza del sacerdozio cattolico presentando modelli credibili. Ognuno di noi ha conosciuto ottimi se non addirittura santi sacerdoti. Perché allora non farli conoscere? Se infatti l’averli conosciuti e praticati è stato per noi motivo di scelta vocazionale può darsi che il conoscerli, sebbene attraverso una modesta testimonianza come può essere l’editoriale di una rivista parrocchiale, possa essere valido motivo di riflessione per altri giovani.
Fatta questa introduzione vengo subito a presentare una figura di sacerdote che mi ha dato moltissimo negli anni giovanili e ha avuto la gioia di accompagnarmi all’altare: il mio vecchio parroco don Lido Brunetti (12.05.1914 – 25.09.2000).
Avevo già scritto di lui in un fascicolo del Dicembre 2000, prendendo le sue difese nel momento in cui alcuni si erano permessi di giudicare in modo malevolo le sue disposizioni testamentarie.
“Don Lido era un prete “feriale” senza troppa cultura teologica, alieno dalle strampalate teorie pastorali dei nostri tempi ma in compenso provvisto di tanto buon senso e di immediata concretezza. Era sostenuto nelle sue scelte di vita e nella sua pastorale da una fede profonda alimentata dalla devozione Eucaristica, dalla Meditazione biblica, dal Breviario e dal Rosario quotidiano.
Mi incuteva soggezione col suo modo di fare, con le sue pretese di prete vecchio stampo, maniaco dell’ordine e della precisione, sempre con la tonaca, sarcastico nei confronti delle novità liturgiche e pastorali. Ormai avanti negli studi teologici, restavo stupito delle sue Omelie, semplici senza mai essere banali, della sua saggezza di pastore che entusiasmava i fedeli con proposte peraltro normalissime, della sua pastorale giovanile tutta incentrata sulla frequentazione dei Sacramenti che negli anni aveva favorito vocazioni sacerdotali e religiose”.
Mi ero avvicinato alla mia Parrocchia territoriale di San Lorenzo alle Corti già seminarista. Frequentavo all’epoca un’altra Parrocchia: una comunità ricca di esperienze, con molti giovani, un sacerdote colto e decisamente brillante, molto amato anche dalla mia famiglia e in particolare da mio fratello.
Iniziando a frequentare la nuova parrocchia rimasi smarrito perché non c’era assolutamente niente di quello che fino al momento avevo praticato. In compenso c’era lui, don Lido, col suo fare sornione e apparentemente distaccato che però ci teneva a fare bella figura con il giovanotto che aveva di fronte: “Beh, qualcosa abbiamo fatto anche noi”, disse, indicandomi una foto sbiadita in cui si vedeva lui, ritto sulle macerie della chiesa di Querceta, che celebrava Messa con a fianco l’immagine della Madonna di Loreto, patrona di quella comunità.
Sul retro c’era scritto: “Un grato e affettuoso ricordo al popolo di Querceta dove, sia per la guerra, il bombardamento della chiesa (17 Settembre 1944), le macerie, le sofferenze, la mancata fucilazione, ho trascorso gli anni più belli della mia vita sacerdotale”.
Sì, don Lido aveva passato i suoi primi anni di vita sacerdotale in Versilia, a Querceta, ove si era prodigato per i sacerdoti della zona, tutti anziani, e per i suoi parrocchiani. Erano stati anni terribili nei quali era successo di tutto. Più volte aveva rischiato la vita come lui stesso aveva scritto nel suo diario:
1 Agosto 1944: “Entrò nel cortile un soldato SS con un signore sconosciuto… davanti a me lo uccise con un colpo di pistola e mi intimò: “Guai a te, prete, se lo sotterri”. “Guai a te se non te ne vai” gli risposi con coraggio e andai a sotterrare quel poveretto vicino al fusto di un olivo”.
1 Settembre 1944: “Mentre stavo parlando uscì dalla casa un soldato SS alto circa due metri, pistola alla mano. Mi intimò di seguirlo fino al Comando tedesco. Mi consegnò a una decina di energumeni… Improvvisamente mi fecero cenno di andare. Questo era il loro modo di fare: appena fatti pochi passi sparavano alle spalle come avevano fatto con tante altre persone, sacerdoti inclusi. Mi avviai domandando perdono al Signore per le mie miserie e aspettando il colpo… che per grazia di Dio non ci fu”.
Tornato a casa aveva trovato la casa di famiglia distrutta dai bombardamenti e alcuni suoi stretti familiari feriti o morti (fratello, cugini e zii paterni).
Nominato parroco venne destinato a un paese del lungomonte pisano famoso per essere politicizzato all’estremo in senso anticlericale (erano gli anni del 1948) tanto che fu costretto ad armarsi e a chiedere la protezione della Questura. Trasferito a San Lorenzo alle Corti aveva assistito il vecchio parroco, cieco, fino alla morte, fondato l’asilo per i piccoli, coordinato in qualità di consigliere d’amministrazione la Casa di Riposo per gli anziani e accolto amorevolmente come vice-parroco un sacerdote privo di incarico pastorale.
Feci presto ad affezionarmi a don Lido. Non era un Rambo però era un uomo tutto d’un pezzo: “Ricordati – mi disse un giorno – io non mi sono mai vergognato d’essere prete né di aver portato questa tonaca logora, considerandola la tunica insanguinata di Cristo!”
Nel corso delle vacanze estive, libero dagli impegni dello studio e della comunità del Seminario, passavo lunghe ore con lui. Messa e meditazione al mattino, poi visita, letto per letto, agli anziani non autosufficienti della casa di riposo e ai piccolini dell’asilo parrocchiale. Nel pomeriggio il Rosario, passeggiando per i campi, e la visita ai malati all’ospedale verso sera. Niente televisione, niente radio solo qualche lettura del quotidiano. Qualche urlata ai ragazzacci che giocavano al pallone sulla piazza delle chiesa e rompevano i vetri dell’asilo; qualche rimprovero agli uomini del locale circolo ricreativo che “salutavano” il Signore in modo inappropriato e alle signore anziane che si intromettevano nelle faccende della chiesa e tanto, tanto amore per tutti.
Venne nominato Monsignore pochi anni prima di morire. Prese la nomina come un affronto, una presa in giro. Poi per rispetto all’Arcivescovo l’accettò sebbene con molta ironia.
Avvertendo la fine mi indicò il testamento e il luogo in cui lo aveva riposto: “Mi spiacerebbe passare da impreciso con l’Arcivescovo e con i miei nipoti”. Morì dicendo: “Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito”.
Questa, in breve sintesi la vita di un sacerdote molto ordinario come ce ne sono molti altri, per fortuna. Grazie a lui la mia vocazione al sacerdozio trovò conferma e sostegno. Spero che questa testimonianza possa essere d’aiuto per qualche altro giovane disposto a offrire la propria vita per il Signore e per i fratelli.
Editoriale di don Piero Malvaldi del numero di dicembre 2018 della rivista “I Quaderni della Propositura” edita dalla parrocchia di Sant’Ermete.