È iniziato all’età di ventisei anni il cammino sacerdotale di don Marco Teodosio Giacomino. Il prete di origine versiliese ha apprezzato fin da bambino il tipo di vita e l’impegno che contraddistinguono le persone consacrate.
Rispondere agli interrogativi esistenziali, scongiurare l’ignoranza della fede, vivere il Vangelo in modo genuino e pratico sono i compiti che rendono la figura del sacerdote oggi più che mai attuale.
di SILVIA CECCHI
“Ha molto senso diventare sacerdoti nel nostro tempo perché il prete risponde a tanti interrogativi che interpellano le persone oggi più che mai sul significato della vita, sul perché del male, sulla morte, sull’esistenza di una meta. Si percepisce diffusamente un grande bisogno di chiarezza. Il consacrato è consapevole che ciascuna persona è amata, è stata voluta e ha il compito di aiutare a far capire qual è la vera essenza dell’uomo, qual è la sua dignità”.
Don Marco Teodosio Giacomino ha ventisei anni, è stato ordinato sacerdote nel giugno scorso, in occasione della ricorrenza della festa di San Giovanni Battista. È versiliese, originario di Ripa. Dopo il liceo classico a Massa, ha scelto di entrare nel Seminario di Santa Caterina di Pisa, dove ha seguito la formazione specifica che si sviluppa nell’arco di sette anni, conseguendo la laurea (nello specifico: baccalaureato) e da alcuni mesi è entrato nel pieno delle sue funzioni. È viceparroco delle parrocchie afferenti all’unità pastorale di Pontasserchio: Limiti, Pappiana, S.Martino a Ulmiano e appunto Pontasserchio. Segue il gruppo scout Pisa 4, con sede in quest’ultima parrocchia, composto da un centinaio di ragazzi. Il vescovo lo ha nominato responsabile della pastorale giovanile del Vicariato della Vadiserchio.
Abbiamo incontrato don Giacomino a meno di un mese dalla sua ordinazione sacerdotale. Ha gentilmente accolto l’invito di don Piero Malvaldi a venire a celebrare la Messa a Forte dei Marmi in occasione della giornata tradizionalmente dedicata al Seminario, per ricordare ai fedeli il compito di questo istituto nella formazione dei futuri sacerdoti. La preparazione si articola nell’ambito di quattro settori fondamentali: la formazione alla vita comunitaria (si risiede nell’istituto); la formazione alla vita spirituale caratterizzata dalla preghiera tramite la partecipazione alla Messa e alla liturgia delle ore, tramite la direzione spirituale assicurata da un padre a ciascun seminarista; la formazione alla vita di parrocchia, facendo esperienze di tirocinio in diverse realtà (ci si occupa del catechismo, si seguono i gruppi di preghiera, si è affiancati a un sacerdote e a una comunità che insegnino a fare i preti); lo studio teologico. La preparazione universitaria si basa su materie tra cui ecclesiologia, filosofia, cristologia, psicologia, diritto canonico, sacra scrittura. I corsi specifici per i seminaristi dell’area di Pisa e della costa si tengono a Camaiore dove si trova la sede distaccata della facoltà teologica dell’Italia Centrale di Firenze. Il percorso di formazione universitaria è di sei anni. Al sesto anno il seminarista diventa diacono e nel corso del settimo avviene l’ordinazione sacerdotale.
Grazie a questo incontro abbiamo potuto sottoporre al giovane prete alcune questioni sollevate da ragazzi di età non troppo lontana dalla sua a proposito della fede. Don Malvaldi infatti, oltre alla classica attività pastorale, da anni viene invitato negli istituti scolastici superiori del Comune per tenere alcuni incontri di approfondimento con gli studenti. In accordo con gli insegnanti, il parroco nel tempo ha proposto alcuni temi da far sviluppare agli allievi riguardo al modo di vivere la fede, al senso di una possibile vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata, all’attualità del messaggio del Vangelo, al ruolo della Chiesa e alla partecipazione alla vita della stessa. Sono emerse luci e ombre, come abbiamo reso noto tramite la pubblicazione degli elaborati all’interno della presente rivista e nei numeri precedenti.
“È importante che la Chiesa non sia una setta, ma sia aperta a tutti”, commenta don Giacomino. “Ognuno deve avere la possibilità di dire la sua. Non dobbiamo escludere chi manifesta delle opinioni diverse. È auspicabile che ragioniamo sulle differenti posizioni, perché il cammino si fa insieme”. Secondo il sacerdote occorre dare una testimonianza di vita genuina, così come indicato dal Concilio Vaticano II, ovvero di una Chiesa più attaccata alle origini: “Gesù insegnava non solo con le parole, ma anche con i fatti. Bisogna mettere in pratica la carità, le opere di misericordia, favorire l’incontro con la preghiera.Se un giovane viene alla Messa e vede che c’è serenità, che non c’è banalità, che le persone si vogliono bene, questa è una testimonianza di fondamentale importanza”.
Molti ragazzi hanno manifestato l’opinione che scegliere la vita consacrata oggi non abbia senso. Alcuni non hanno mai riflettuto su questa possibilità; altri la ritengono una scelta fuori dal tempo, fatta di rinunce, di sacrifici e di allontanamento dagli affetti.
“Bisognerebbe fare esperienza della vita del prete”, commenta a proposito il giovane sacerdote. “Si tratta infatti di un tipo di vita molto intensa, ricca di incontri e di relazioni. Di fatto egli è un padre per la comunità. Ha a che fare con le esigenze e le difficoltà delle persone; cerca di affrontare le situazioni difficili insieme al prossimo, aiutandolo concretamente e seguendolo spiritualmente, affinché conosca il Signore e possa camminare con le proprie gambe nella fede. Il sacerdote è un osservatore: deve avere la capacità di cogliere le mancanze della comunità e adoperarsi per cercare di far star meglio le persone”.
Fra le osservazioni sollevate dagli studenti ricorre la stanchezza nel frequentare il catechismo per la lunghezza del percorso e la noia degli incontri: “L’esperienza del catechismo va ripensata”, dice don Marco. “È la domanda del secolo che la Chiesa si fa, ovvero come essere appetibile ai giovani”. In merito a questo il sacerdote fa riferimento al testo del Vangelo della stessa domenica in cui ha presieduto la Messa al Forte: “Gesù prende a mandare gli apostoli a due a due a evangelizzare (Mc 6, 7-13) come segno di testimonianza genuina, condivisa e partecipata. Si possono pianificare i più grandi piani pastorali del secolo, ma resta difficile trasmettere il messaggio del Vangelo se non lo si fa prima di tutto tramite una condotta di vita vissuta in prima persona”.
Tuttavia è necessario anche approfondire i contenuti: “C’è tanta ignoranza dal punto di vista religioso”, aggiunge don Giacomino. “Se noi pensiamo che la fede sia in quei cinque anni di catechismo diluito, anche pesante e persino banale, beh non è così. Nel Vangelo c’è qualcosa in grado di cambiare la vita alle persone. Chi sceglie la strada consacrata, così come ad esempio chi lascia tutto e si reca in missione per dedicarsi ai più svantaggiati, affronta un percorso che va controcorrente, ma lo fa perché crede profondamente nel messaggio del Vangelo”.
“L’ignoranza della fede è presente anche nei credenti, che a volte si basano su dei concetti di cui hanno poca conoscenza o che sono superati o che non sono mai stati così come li hanno appresi”, continua il sacerdote. “È importante coltivare la spiritualità e conoscere i contenuti della nostra fede attraverso la sacra scrittura. Allo stesso tempo, però, occorre evitare il rischio di diventare unicamente degli eruditi. Dobbiamo ricordare sempre che colui che ci aiuta e che ci salva è il Signore. Ciascuno di noi è abitato dallo Spirito Santo: ognuno quindi può dare una testimonianza di fede ed essere d’esempio per il prossimo anche nella semplicità dei gesti della vita quotidiana”.
Sempre in merito al catechismo don Marco ci porta l’esempio del lavoro che svolge con i giovani nell’ambito dei suoi incarichi: “Noi li chiamiamo incontri di catechismo, non lezioni. Prima di tutto bisogna capire con chi stiamo parlando e calarci nelle relative realtà. I ragazzi delle superiori hanno più voglia di confronto. Con loro affrontiamo argomenti che riguardano le emozioni, l’amicizia, il rapporto con i genitori, la vocazione (nel senso di ciò a cui ci si sente chiamati nella vita), il perché del male, domanda ricorrente su cui gravano tanti interrogativi”.
La figura dell’animatore e l’elaborazione di percorsi specifici sono determinanti: “I giovani richiamano altri giovani. Occorrono persone adatte per svolgere il compito di animatore e vanno programmate attività idonee”.
Un’altra questione spinosa per i ragazzi, ma anche per gli adulti, è il rapporto tra scienza/progresso tecnologico e fede, che sembra indurre a un allontanamento dalla Chiesa. “Dio ha creato la mente per usarla”, dice il sacerdote. “Scoperte scientifiche e fede sono modi entrambi per comprendere Dio e la sua creazione. Qualunque cosa si apprenda attraverso il metodo empirico non smentisce la fede. Entrambe procedono di pari passo verso la verità. Queste due forze si completano a vicenda e non si possono concepire come qualcosa di statico: come la scienza approfondisce o smentisce alcune credenze del passato, così la fede va a fondo su argomenti che erano sottintesi o non ben chiari”.
L’interesse per la vita consacrata in Marco è nato da bambino. Andava alla Messa insieme alla nonna. Il sabato pomeriggio e la domenica mattina faceva il chierichetto nella chiesa di Ripa: “Mi incuriosiva quello che faceva il prete, il modo in cui portava il messaggio del Vangelo agli altri, come cercava di metterlo in pratica, come si adoperava per discutere quei punti che potevano interpellare le coscienze”, racconta don Giacomino. “Il Vangelo non è solo un testo storico, ma è un riferimento per la vita di tutti i giorni: Gesù è il Vangelo, la buona notizia capace di renderci migliori e tutti fratelli”.
Il sacerdote ricorda che a cinque anni andò dalla mamma e le disse che da grande avrebbe voluto fare il papa. Un commento come un altro, da non prendere sul serio, verrebbe da pensare, soltanto che anche sua sorella da piccola disse alla mamma che avrebbe fatto la veterinaria e poi lo è diventata davvero.
La convinzione di Marco bambino nel tempo non è venuta meno. È maturata dentro di sé per lo più nel silenzio: “Ricordo che verso sette anni ne parlai a mia nonna mentre era con alcune amiche, ma reagirono sorridendo e dicendo che avrei cambiato idea, perché non potevo sapere cosa voleva dire davvero. Così pensai che era meglio stare zitti. Ne riparlai una volta sola con un amico alle scuole medie, che mi ascoltò seriamente, e poi finalmente il quarto anno delle superiori lo dissi al sacerdote”.
“È risaputo che i genitori hanno tante aspettative nei confronti dei figli e la possibilità del sacerdozio non viene proprio messa in conto”, aggiunge don Marco.
In vista della maturità la mamma, che aveva ormai intuito l’interesse del figlio per la vita consacrata, gli fece la fatidica domanda: “Marco, ma tu non è che vuoi fare il prete?”. Marco in quegli anni era sempre stato molto attivo in parrocchia: faceva l’animatore nella chiesa di Ripa, il direttore del coro e l’organista in quella di Strettoia. Il padre gli suggerì di conseguire una laurea diversa prima di entrare in Seminario, in modo da avere un’alternativa se avesse cambiato idea. “Io però ero convinto e per me sarebbe stata solo una perdita di tempo”, spiega il giovane sacerdote.
Gli chiediamo se il compito non lo spaventi: “Un po’ di paura mi fa, però io dico: Signore, sei tu che mi hai voluto prete, mi darai la forza per affrontare la situazione. Avrei potuto farmi una famiglia; potevo continuare gli studi musicali, fare filosofia, ho interesse per l’arte”.
Cosa si avverte quando ci si sente chiamati alla vita consacrata? “Non si riceve una telefonata”, scherza il giovane prete. “Si sente come un innamoramento. Si avverte che la propria vita è completa, appagata e felice se si sta col Signore. Si prova gioia nel vivere per Dio e nell’occuparsi della comunità cristiana”.
Cosa suggerirebbe a un giovane che avverta qualcosa del genere? “Gli consiglierei di rivolgersi al proprio parroco per capire meglio come affrontare la situazione. Poi gli direi di avere coraggio perché è sulla strada buona”.
Spesso i ragazzi temono di essere presi in giro dai compagni e di essere ostacolati dai genitori: “Anche gli apostoli vennero presi in giro quando iniziarono a seguire il Signore, per cui non c’è da spaventarsi. I genitori quando vedono il proprio figlio felice, sono contenti a loro volta. Lo stesso vale per gli amici. I miei compagni, credenti e non credenti, sono sempre venuti tutti quanti alle celebrazioni importanti per la mia vita”.
Settembre 2018