Formare il cittadino del domani, accompagnandolo nel percorso di crescita, è la delicata missione della scuola.
Gli insegnanti sono chiamati ad aiutare gli studenti a scoprire ed esprimere le proprie potenzialità.
Prendersi cura dei propri alunni e adoperarsi perché vengano alla luce i talenti che li contraddistinguono è un atto di carità, che lascia un segno indelebile nel cuore degli allievi.
DI SILVIA CECCHI
Non si lascia abradere dall’usura del tempo né dalle inevitabili ferite che si riportano nel corso della vita: l’esperienza del bene non si può dimenticare. Segna nell’intimo la persona, perché fa risuonare nell’interiorità corde fino ad allora inespresse, libera l’anima dal recinto del concreto e la mette finalmente in relazione con la bellezza, la bontà, la verità.
Quando si incontra una persona attenta a noi, semplicemente per quello che siamo, curiosa delle caratteristiche che ci contraddistinguono, senza aspettative formulate a priori, si rende possibile una relazione originale che ci aiuta a scoprire risorse che non sapevamo di avere e ci consente di animare ciò che di bello c’è in ciascuno di noi.
Questa figura è rappresentata per antonomasia dall’educatore, il cui ruolo, come esprime l’etimologia del verbo (educere), è proprio quello di ‘tirar fuori’ le qualità e le attitudini che caratterizzano distintamente gli allievi, promuovendo con l’insegnamento lo sviluppo delle loro facoltà.
Quando un maestro si rivela capace di appassionare gli studenti con la sua cultura, di incuriosirli attraverso i propri interessi, di rapportarsi con loro come se fossero al suo medesimo livello, dimostra di avere a cuore le persone che gli sono affidate e compie dunque un atto di carità.
Una volta aperto questo varco e creata questa intesa si sviluppa una sorta di tensione trascendente, che consente un incontro tra anime. In tale dimensione il lavoro dell’insegnante, proprio perché interviene nella fase della crescita, ha la grande opportunità di incidere profondamente nell’intimo dell’alunno. In questo modo l’adulto del domani riuscirà a ritrovare dentro di sé i principi iscritti in lui in gioventù, anche se per certi periodi potranno restare sopiti, quasi dimenticati, sotto la coltre degli affanni legati alle fasi e alle circostanze della vita, non sempre favorevoli, e potrà magari diventare lui stesso maestro per altri.
Il compito educativo chiama in causa la vita stessa del professore. Come la storia della filosofia dimostra, l’uomo da sempre si interroga su di sé e sulla sua relazione con gli altri, ritenendo indispensabile conoscere se stesso prima di poter aiutare l’altro ad esprimere i propri talenti. Per essere un vero insegnante non basta, insomma, istruire a leggere, scrivere e far di conto: la cultura non coincide con l’erudizione.
“La figura dell’insegnante è fondamentale nel processo di crescita dei ragazzi – dice Silvia Barbara Gori, dirigente scolastica dell’istituto comprensivo statale di Forte dei Marmi -, perché ha il compito di accompagnare i giovani nel processo verso la loro formazione individuale e la loro autonomia”. A differenza del genitore, il maestro è privo di aspettative particolari verso i nuovi allievi, in quanto altro da sé, e dunque aperto a cogliere la loro reale essenza. “Rispetto al rapporto molto ravvicinato che esiste tra genitori e figli, a volte c’è bisogno di una certa distanza – spiega Gori -. L’insegnante rappresenta una figura distaccata, ma al tempo stesso una presenza costante, che aiuta, sostiene e apre al mondo l’alunno. In ognuno di noi c’è il ricordo caro di un professore, cui siamo grati per quello che ci ha lasciato, per l’esempio di vita che ci ha trasmesso, per l’amore per la conoscenza che ha stimolato in noi attraverso le sue curiosità e i suoi interessi”.
Come affermava Romano Guardini, teologo e filosofo del secolo scorso, l’educatore deve avere una chiara percezione di se stesso per aiutare il giovane a vivere in prima persona la propria vita. È necessario, infatti, che l’insegnante abbia raggiunto un grado di consapevolezza adeguato per non originare relazioni educative incerte e per essere riconosciuto dall’allievo come modello di raffronto per costruire la propria identità.
La filosofia socratica fin dall’antichità ha messo molto ben in luce la necessità per l’uomo di mettersi in chiaro a livello personale. La ricerca è centrale nel pensiero del filosofo greco, secondo cui la persona deve impegnarsi in un esame incessante di sé, prendendo consapevolezza dei propri limiti e sentendosi spronata proprio per questo a porsi dei dubbi e a portare avanti un’indagine che non si accontenti del sapere costituito.
Per Socrate questo sforzo ha come nobile finalità quella di rendere l’uomo giusto e solidale con gli altri. La maieutica, metodo paragonato all’arte della levatrice, dimostra che ognuno può progredire solo con l’aiuto degli altri e rendendosi disponibile a sua volta verso il prossimo. Nel dialogo tra l’insegnante e l’alunno si concretizza l’impegno di aiutare il discepolo a tirare fuori pensieri personali e ad esprimere se stesso.
La relazione e la solidarietà tra persone sono dunque fondamentali per lo sviluppo della società, contrariamente a quanto sembra prevalere nella realtà contemporanea, in cui l’individuo è spinto a ritenersi unico regista del proprio progetto di vita ed è sollecitato ad una competizione continua con l’altro allo scopo di emergere in modo esclusivo.
“Prima di tutto occorre stimolare l’interesse e la curiosità nei ragazzi, aiutandoli ad allenare la mente a riflettere e ad approfondire – spiega Silvia Barbara Gori -. È necessario offrire loro gli strumenti perché possano sviluppare le loro capacità, imparando ad usare la testa e ad essere liberi. Le nozioni sono importanti, ma l’esercizio mentale e il metodo sono prioritari. Qualche informazione si può recuperare”.
Per la dirigente è fondamentale lasciare che gli studenti affrontino le esperienze e le difficoltà che fanno parte della vita: “Ci sono giovani lasciati a se stessi, ma ci sono anche ragazzi troppo protetti dalle famiglie. È bene sostenerli e incoraggiarli, ma bisogna che imparino ad affrontare la realtà per quella che è”.
La dottoressa Gori, cinquantaquattrenne, ha una lunga esperienza in ambito didattico. Originaria di Viareggio, dove ha compiuto gli studi e svolto supplenze nella scuola dell’infanzia, a ventitré anni è entrata a pieno titolo in servizio nella scuola primaria, dopo aver vinto un concorso come insegnante di ruolo. Per circa vent’anni ha fatto la maestra, seguendo bimbi dai sei ai dieci anni. I suoi primi alunni oggi hanno circa quarant’anni e ci racconta che quando le capita di incontrarli li riconosce subito, perché cinque anni insieme non si dimenticano e neppure il legame affettivo di cui si è fatto esperienza.
Nel frattempo si è sposata ed è diventata mamma di due figli. Ha sempre vissuto con passione la sua attività ed ha coltivato il suo amore per lo studio. Insieme a una preziosa amica, Giovanna, sua collega di lavoro, a trentasei anni ha intrapreso la facoltà di scienze della formazione, laureandosi col massimo dei voti a quarant’anni. Poco dopo ha partecipato con successo a un concorso per dirigenti scolastici, assumendo il timone dell’istituto comprensivo fortemarmino, che conta due scuole dell’infanzia, Caranna e Giorgini, tre primarie, Pascoli, Don Milani, Carducci, la scuola secondaria di primo grado Ugo Guidi.
“Anche se nell’attuale ordinamento il dirigente scolastico si configura più come un manager e un leader rispetto alla precedente figura del direttore didattico o del preside, io resto legata ai valori di democrazia e collegialità che hanno caratterizzato la mia formazione, avvenuta nel corso degli anni Settanta”, precisa Gori. “La finalità della scuola, infatti, resta la stessa di sempre: formare il cittadino del domani e accompagnarlo nel percorso di crescita per essere una persona realizzata. Io sono qui a servizio degli allievi e degli insegnanti, nel rispetto dei valori fondamentali cui si ispira la nostra professione”.
Il dirigente scolastico dà la propria linea d’indirizzo agli istituti che coordina e il collegio dei docenti mette in pratica le finalità condivise. “Il sistema scolastico è molto articolato ed è fondamentale costruire buone relazioni con i professori e con i genitori degli alunni, promuovendo una partecipazione positiva circa gli obiettivi formativi”.
Silvia Gori si dice soddisfatta dell’apprezzamento riconosciuto alle scuole che guida: “Gli insegnanti sono professionisti del mestiere e quindi il loro metodo non può essere messo in discussione. Io cerco di essere accogliente con i genitori e di bilanciare le diverse esigenze, ma non sono disponibile a contrattare su tutto. I professori si adoperano per far crescere i ragazzi e per ottenere dei risultati occorre impegno e sacrificio”.
Stabilire adeguati rapporti, dunque, si rivela fondamentale a tutti i livelli, ma nel contesto attuale non è per niente semplice. La famiglia tradizionale da tempo appare in crisi. Le separazioni sono all’ordine del giorno e i ragazzi non possono non risentire di simili cambiamenti.
Un dirigente scolastico che si rende disponibile verso i genitori dei propri studenti si trova sempre più spesso a contatto con problematiche che condizionano la vita dei giovani. La dottoressa Gori è consapevole delle difficoltà che certe circostanze determinano, perché lei stessa è passata dall’esperienza della separazione, ma proprio per la medesima ragione è convinta che i genitori debbano fare ogni sforzo per non coinvolgere i figli nei loro disagi. “È inevitabile che una rottura crei delle difficoltà a tutti i membri della famiglia, ma si deve trattare di una fase temporanea. I genitori devono gravare il meno possibile sui ragazzi, tenendoli fuori dai loro conflitti. Ho sempre grande rispetto e stima per i giovani – precisa -, compresi coloro che si dimostrano problematici, perché hanno delle situazioni difficili alle spalle”.
L’attenzione verso i più deboli e lo sforzo di offrire a tutti la possibilità di affermarsi come adulti sono questioni centrali per la dirigente scolastica, che si richiama ai principi sanciti dalla Costituzione e alle indicazioni nazionali in materia di istruzione. Come la nostra carta fondamentale recita in particolare all’articolo 4, ognuno ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Secondo Gori le istituzioni scolastiche si devono adoperare per valorizzare i talenti e le eccellenze, ma con un occhio di riguardo per chi è in maggiore difficoltà: “Come affermava don Milani, far parti uguali tra diversi è la peggiore delle ingiustizie. La scuola si deve sforzare di dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno, affinché ognuno possa esprimere le proprie potenzialità. Io la penso così”.
Creare percorsi personalizzati oltre certi livelli, però, non è possibile e dunque secondo la dirigente tra le due esigenze occorre privilegiare quella del più debole, perché chi ha più strumenti riuscirà comunque a cavarsela meglio.
Le scuole che coordina si avvalgono di numerosi progetti rivolti a ragazzi con bisogni educativi speciali di tipo cronico o temporaneo. È attivo anche uno sportello d’ascolto che si avvale di uno psicologo per le necessità degli studenti. Sono promossi corsi di qualificazione particolare in varie materie, uscite didattiche, gite, progetti di teatro e di musica in orari scolastici ed extrascolastici. Gli alunni degli istituti sono chiamati attraverso idonei organismi di rappresentanza a ritrovarsi, discutere e promuovere proposte concrete per rendere più vivibile e gradevole l’ambiente scolastico. Particolare attenzione è dedicata anche alla questione del rispetto dell’ambiente, sia da un punto di vista di buone pratiche che di interventi strutturali, verso i quali l’amministrazione comunale si è dimostrata sempre sensibile e sollecita.
“Un insegnante deve saper dosare autorevolezza e dolcezza – spiega la dirigente -. Ci devono essere momenti di gioco e di leggerezza, ma poi sono necessarie delle regole, altrimenti i ragazzi non stanno bene. I bimbi vogliono una figura di riferimento e il maestro deve essere assertivo”.
Sia la scuola che le famiglie dovrebbero dedicare ai giovani il tempo necessario per aiutarli a sviluppare le loro facoltà, ma questo non è scontato. I professori, infatti, sono assillati dal rispetto del programma e i genitori sono assorbiti da molte preoccupazioni.
“Gettare i semi è essenziale”, conclude Gori. “Certo, bisogna vedere dove cascano, ma proprio per questo ognuno, secondo il proprio ruolo, si deve adoperare per curare adeguatamente il terreno. I risultati, poi, si vedranno nel tempo”.
Luglio 2015