DI DON PIERO MALVALDI
Non so a chi andrà in mano questo testo: con ogni probabilità verrà scorso dai consueti lettori della rivista, in genere persone mature, di buona cultura, assidui alla pratica religiosa e quindi esperti del linguaggio teologico e liturgico.
Può darsi però che finisca in mano anche a qualche giovane studente liceale o universitario ormai dimentico delle lezioni del catechismo o addirittura a qualche agnostico incapace di dare significato alla comune terminologia religiosa e, perché no, anche a qualche ateo professo curioso di leggere qualche “banalità”.
Proprio per favorire la lettura di questi ultimi invece del termine“carità” preferisco usare il sinonimo “amore” in modo da sgombrare equivoci interpretativi.
Non essendo filosofo-psicologo-sociologo ma un semplice prete intendo iniziare il discorso da ciò che conosco meglio e quindi dalla Parola di Gesù e precisamente da una sua frase, riportata da Paolo, che ha senz’altro risvolti filosofici, psicologici e sociologici.
La frase compare in Atti 20,35 e dice che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”: non è riportata dai vangeli ma gli esegeti ci assicurano che è una delle “ipsissimaverba” di Gesù proprio una frase uscita dalle sue labbra e quindi degna della massima attenzione.
Ragionandovi sopra, alla luce naturalmente anche di altre pagine del vangelo ne deduciamo, in rapida sintesi, che per Gesù l’amore consiste nel volere il bene dell’altro, nel dono gratuito di se stessi e che amando in questo modo si ottiene la massima gratificazione morale.
Anche l’antropologia filosofica (quella classica) e la psicologia (cfr. E.Fromm nell’ormai classico “L’arte di amare”) conoscono e presentano l’amore sotto questo aspetto “oblativo” e pur non sottovalutando quello detto “passionale”, ossia quello legato al proprio piacere e alla propria soddisfazione personale, ne confermano l’importanza e l’attualità.
La sociologia poi presenta esempi molteplici di uomini e donne che hanno fatto dell’amore così inteso un costante e coerente atteggiamento di vita.
Senza stare a citare questo o quell’autore, questa o quella ricerca, per avere conferma sperimentale della estrema attualità di questo tipo di amore è sufficiente scorrere le interviste riportate nel presente volume in cui si presentano persone del nostro stesso ambiente che, al di là della coloritura politica, della posizione ideologica e della stessa professione di fede si impegnano con generosità ad amare il prossimo proprio come vuole Gesù, senza alcun tipo di ritorno né di immagine né di altro accontentandosi esclusivamente della gioia interiore, personale.
Evidentemente questa nostra società così bistrattata e vilipesa è ancora viva e giovane a giudicare da questa intensa e profumata “fioritura” di amore sociale (vedi anche l’accoglienza nei confronti dei migranti) scevro da qualsiasi interesse o tornaconto personale.
Però Gesù va oltre la proposta dell’amore oblativo: nel famoso e universalmente conosciuto “discorso della montagna” aggiunge che il vero amore resta tale anche in presenza dell’odio: “A chi ti percuote sulla guancia mostra l’altra “!
Per questo invita ad alzare gli occhi al cielo per contemplare e imitare il Padre: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori perché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni”.
Presenta dunque come modello di amore perfetto il Padre stesso nella sua caratteristica peculiare, la misericordia ossia la disponibilità al perdono.
Sono moltissime le pagine bibliche che raccontano l’amore di Dio per il suo popolo, un amore sempre fedele all’antica Alleanza stretta con Abramo, Isacco e Giacobbe, un amore che nel tempo ha subito tradimenti e offese eppure è rimasto amore assoluto.
Per inciso è interessante notare, nella pagina delle Beatitudini il rapporto tra la/il misericordia/perdono e la perfezione.
La pagina è presente sia in Matteo che in Luca: solo che là dove Matteo scrive “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro” Luca scrive invece “siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro”: misericordia e perfezione si richiamano a vicenda!
La conclusione del ragionamento è che si può raggiungere l’amore perfetto cioè l’amore aperto al perdono e alla misericordia solo guardando al Padre.
Purtroppo esempi di questo tipo di amore non si sono mai dati nella storia dell’umanità. Solo Gesù che è uno-col-Padre è stato capace di amore perfetto: e infatti Gesù muore invocando il perdono per i suoi carnefici di ieri, di oggi e di domani dando vita, con il suggello della Risurrezione, alla nuova ed eterna Alleanza che include, oltre il popolo di Israele, tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo: tutti, in Gesù, hanno avuto, hanno e avranno la possibilità di sperimentare il perdono di Dio, la sua divina misericordia diventando a loro volta, sempre in Gesù, capaci di amore perfetto.
Gesù, uno-col-Padre, diventa così punto di riferimento essenziale e modello da imitare: solo guardando a lui il credente trova la forza per fare altrettanto.
Giustamente Paolo afferma in Ef 5,1-2: “Siate imitatori di Dio come figli carissimi e camminate nell’amore, come Cristo”.
Dobbiamo dunque necessariamente essere uniti a Gesù che, proprio per questo, si offre a noi nell’Eucarestia, nel segno del pane.
Significativo che Gesù abbia scelto il segno del pane, per celare la sua presenza: è il segno più semplice da capire. Infatti come il pane materiale, una volta assunto, diviene parte di noi, vera “sostanza” del nostro corpo, così il pane eucaristico, Gesù Signore, si fa parte di noi trasformandoci nell’intimo.
Lo spiega bene, con parole poetiche, Agostino quando fa dire al Signore: “Io sono il pane dei forti. Mangiami! Non sarai tu però a trasformare me in te, come accade per il cibo terreno, ma io trasformerò te in me”.
Questo significa che nella Comunione devotamente ricevuta veniamo tratti fuori da noi stessi e assimilati a Gesù.
Da notare che questo non vale soltanto per noi, come singoli, ma vale per tutti coloro che insieme con noi ricevono Gesù: è il concetto di “Corpo di Cristo” cioè l’unione fraterna dei comunicanti, bene espresso dai Padri della Chiesa, i primi commentatori del Vangelo, che usano questa espressione per far capire che la Comunione è il sacramento della fraternità cristiana.
Ecco l’importanza di accostarsi alla Comunione che, come spiega papa Francesco, riprendendo anche in questo caso il detto dei padri, “non è un premio per i santi” ma un alimento vitale per noi poveri pellegrini costretti ogni giorno a fare i conti con le nostre fragilità e in particolare incapaci di amore sia nei confronti di Dio che dei fratelli.
Aprendoci adesso a una doverosa revisione di vita personale e sociale ci vogliamo chiedere con sincerità quanto siamo disponibili al vero amore cioè alla misericordia e al perdono. Lasciando la risposta al quesito dal punto di vista personale alla coscienza di ognuno, dobbiamo rilevare con sofferenza che a livello comunitario siamo assai poco disposti sia alla misericordia che al perdono.
Forse “ad extra”, cioè per quanto riguarda i rapporti con i non credenti, siamo indulgenti e tolleranti ma probabilmente soltanto perché ormai come comunità cristiana siamo in minoranza: finché siamo stati maggioranza abbiamo spesso peccato di cattiveria: negli anni antichi con le stragi perpetrate nel nome di Gesù e in anni più recenti con le conversioni forzate (di cui abbiamo traccia perfino nel nostro modesto archivio parrocchiale) di ebrei e protestanti.
Il problema maggiore, a oggi, è “ad intra” ossia nei rapporti fra gli stessi confratelli cristiani con polemiche assurde, violenze verbali, insulti mediatici, accanimenti reciproci al limite della crudeltà mentale che minano l’unità della comunità cristiana: drammatico poi che tutto questo avvenga per difendere la purezza del Vangelo e la santità della Chiesa come se la verità fosse esclusiva di pochi eletti.
Probabilmente nel momento della Comunione dovremmo avere meno presunzione: “O Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa” e più Fede: “ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”.
Introduzione al volume “Il comandamento nuovo”, supplemento della rivista “I QUADERNI DELLA PROPOSITURA”